I cani vanno amati ma non sono “creature”
C’è un dato che inquieta l’anagrafe dell’Occidente. Ed è il tasso di denatalità in perenne crescita, come la temperatura della terra. Una febbre epidemica, peggio della spagnola, la quale i figli non li fa morire quando già esistono, almeno non sempre...
C’è un dato che inquieta l’anagrafe dell’Occidente. Ed è il tasso di denatalità in perenne crescita, come la temperatura della terra. Una febbre epidemica, peggio della spagnola, la quale i figli non li fa morire quando già esistono, almeno non sempre. Semplicemente non li vuole. E così le nostre case si trovano ad essere sempre più deserte. Se va bene un figlio, qualche volta due. Ma quando va bene.
Poi i figli diventano grandi. Già da adolescenti cominciano a… nuotare al largo, quindi arrivano gli studi importanti. Erasmus e le esperienze all’estero. E spesso i figli, come cicogne che migrano, finiscono lontani, lasciando le case di origine solitarie e malinconiche come i resti archeologici di una civiltà che fu.
Altre volte i figli proprio non arrivano. Vuoi perché la giovinezza passa una volta sola e bisogna assaporarla per bene senza lasciarla scappare, vuoi perché la carriera bussa reclamando spazi, vuoi per quello che vuoi, sta di fatto che tante brave figliole arrivano a desiderare un figlio quando la stagione della vita presenta i primi tralci gialli, quelli di Sara, la moglie di Abramo, troppo avanti di stagione per mettere alla luce una creatura. E così, in tante nostre case, la solitudine affettiva bussa, reclamando scampoli introvabili di tenerezza.
Non so se sia anche per queste ragioni se la moda del cane di famiglia sta prendendo piede con falcate da levriero. Ho trascorso qualche giorno di vacanza e mi è capitato più volte di imprecare contro i cani. Vai, sognando di stare da solo con te stesso e con la natura e invece… planfete. Bau bau di qua, bau bau di là, “Carletto vieni qui, Neve stai attenta, Nick fai il bravo, Lulù spetta che passi il signore…”. Merda de can! Ovunque. In senso metaforico, ma anche in senso reale.
Amici tranquilli. Anch’io amo i cani. In questi giorni in cui i media ci travasano in casa le scene di dolore e distruzione del terremoto, guardo ai gruppi cinofili coi loro amici a quattro zampe. Quante vite salvate grazie al loro fiuto, qui piuttosto che sotto una valanga. Quanta polvere di morte sottratta al mercato della droga grazie al loro inconfondibile fiuto. E quante solitudini riempite grazie alla loro fedeltà. Vedere il piccolo cocker accanto alla bara del padrone durante la veglia funebre prima dei funerali delle vittime del sisma, aveva un linguaggio potente di umanità.
No, non ce l’ho coi cani. Ce l’ho coi loro padroni quando stupidamente trasformano il rapporto con l’animale come se fosse un rapporto umano. Una antropizzazione della bestia, tramutata in creatura umana. “Stella mi raccomando, quando andiamo dalla zia, non salire sul divano. È nuovo e non va rovinato”. Non è il richiamo di una madre al figlio col mercurio. È il richiamo di una signora della provincia alla sua giovane cagnolina. Ormai va così. Purtroppo.