È liberando il cuore dall’odio che vinceremo il terrorismo
C’è una lettera straordinaria che ha fatto il giro del mondo in questi giorni. L’ha scritta un ragazzo di Parigi, Antoine Leiris, al quale alcuni individui, che non oso chiamare uomini ma robot metallici senza umanità, hanno ammazzato la moglie, lasciandolo solo con un figlio di 17 mesi da far crescere. Queste alcune delle sue parole...
C’è una lettera straordinaria che ha fatto il giro del mondo in questi giorni. L’ha scritta un ragazzo di Parigi, Antoine Leiris, al quale alcuni individui, che non oso chiamare uomini ma robot metallici senza umanità, hanno ammazzato la moglie, lasciandolo solo con un figlio di 17 mesi da far crescere. Queste alcune delle sue parole.
“Venerdì sera avete rubato la vita di un essere eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio. Ma non avrete mai il mio odio. Non so chi siete e non voglio saperlo, siete delle anime morte. Se questo Dio per il quale voi uccidete ci ha fatto a sua immagine, ogni proiettile nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita al suo cuore.
Allora io non vi farò il regalo di odiarvi. Voi lo avete cercato ma tuttavia rispondere all’odio con la rabbia vorrebbe dire cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Volete che io abbia paura, che guardi i miei concittadini con occhi diffidenti, che sacrifichi la mia libertà per la sicurezza. Siamo rimasti in due, io e mio figlio, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo e per tutta la sua vita questo piccolo ragazzo vi farà l’affronto di essere felice e libero. Perché no. Non avrete neanche il suo odio”.
Non è facile fare proprie queste parole, che qualcuno ha voluto battezzare da subito come parole cristiane. Forse semplicemente parole umane. Parole di civiltà. Dietro non c’è soltanto la rinuncia alla legge del taglione. C’è prima di tutto la coscienza, che vorrei chiamare fierezza, di appartenere alla cultura della ragione. Quella dei diritti delle persone, della libertà di esprimersi, della libertà religiosa... La libertà di camminare per le strade senza paura e senza che qualche invasato, col pretesto di qualche falso dio, tolga la vita nel nome di questo dio. Leggendo la lettera di Antoine, ho visto in filigrana il suo volto. Tratti austeri e fieri, capaci di evocare il volto degli eroi del nostro passato, quelli che consegnavano al nemico gli ultimi istanti della loro vita, guardandolo in faccia. Perché il nemico sapesse che non aveva vinto. La forza gli consentiva di togliere la vita agli altri, ma non gli era dato di rubare anche l’anima, quella che fa la differenza tra un animale e una creatura libera. Occhi fieri puntati, perché il carnefice potesse scoprire il nulla della sua condizione di uomo, guardando il volto degli uomini liberi e veri. Quelli che subiscono la violenza ma che non si lasciano rubare l’anima. Del resto lo aveva detto anche Gesù. “Non temete chi può uccidere il corpo, temete piuttosto chi può far perire la vostra anima”.
A Parigi abbiamo visto il confronto tra esseri senza anima, capaci di far morire il corpo e uomini, come Antoine, capaci di rispondere con la logica della ragione, dell’amore e della civiltà. Il nulla e la notte della barbarie contro la luce della speranza. Lo abbiamo visto a Parigi, ma anche a Venezia, nelle parole composte, così come nel dolore, dei genitori di Valeria. Parole piene di armonia, per sottrarci alla tentazione di una cultura della divisione, dello scontro, di un ritorno al linguaggio delle tribù o del branco, pronto a seminare nella storia semi di rancore e di miseria. Giusto per ricordarci che la barbarie jihadista non la vinceremo solo con maggiori misure di sicurezza. Sarà la cultura della civiltà a portare bagliori di luce nella notte dell’uomo. Vivendo da uomini, semplicemente da uomini liberi e fieri. Fieri di non avere il cuore abitato dall’odio.