Dentro tante canzoni parole che insegnano
di LORENZO GALLIANI
Libro raccoglie testi che fanno riflettere e... possono servire
di LORENZO GALLIANI
Ho da qualche parte una videocassetta con tutti i gol della Serie A 1992-93, e non riesco a disfarmene. Stesso discorso per le foto di famiglia, anche quelle venute male: mi fanno comunque emozionare. Mi piace guardare il passato, amo i ricordi. Eppure un certo tipo di nostalgia mi ha un po’ stufato. È quella che ti fa dimenticare che le cose belle ci sono anche oggi. Quella di chi inizia i discorsi sempre con l’immancabile «ai miei tempi», fingendo che a quei tempi non ci fossero lo stesso le guerre, la povertà, l’ignoranza.
Ai miei tempi, per esempio, chi andava in bicicletta con il casco non era considerato responsabile, ma un disadattato. E prima di ogni viaggio si litigava con i fratelli per conquistare il lettino allestito nel bagagliaio, il posto meno sicuro di tutti in caso di tamponamento. Ma si usava così.
Come canta Max Pezzali in 7080902000: «I genitori che fumavano con i finestrini chiusi perché dicevano / di stare attenti a non prenderci un colpo d’aria / che ci ammalavamo tantissimo». Quanti di noi sono cresciuti a pane e fumo passivo... Nostalgia anche per quello? A proposito di musica: non è la stessa di venti o trent’anni fa. Ma ho una brutta notizia: il tempo è passato anche per noi, non solo per lei. E mentre ci indigniamo per la superficialità dei tormentoni estivi, ci scordiamo che i giovani del passato non si ponevano nessun problema davanti a testi sciocchi o imbarazzanti: dal «dammi tre parole / sole, cuore e amore» (non certo da premio Nobel per la Letteratura) fino al «dammi una lametta che mi taglio le vene» cantato negli anni Ottanta (una mia ex studentessa, certamente non ispirata da questo brano, lo ha fatto: garantisco che non è qualcosa su cui valga la pena scherzare troppo).
Canzoni in classe, che ho scritto per l’editrice Àncora, nasce da questa esigenza: non tanto voler provare che l’oggi – dal punto di vista musicale – sia meglio del passato, perché semplicemente certi paragoni non hanno molto senso. Ma occorre mostrare che di buono ce n’è, ancora. Con le canzoni di oggi si può discutere con i ragazzi, confrontarsi, «fare scuola». Parlando di guerra, pace, ambiente, social, violenza, famiglia, senso della vita, Dio. Prendiamo Valerio Mazzei, tiktoker, youtuber, influencer. In 12 luglio ricorda la madre, morta quando lui aveva 11 anni: «Chissà se mamma mi osserva anche da lassù / L’unica donna che amo sarai sempre tu / La guardavamo assieme, ora sono in tv / Gli occhi li ho presi da te / ma non ti vedo più». Che cazzotto nello stomaco, quest’ultima frase: i miei occhi, mamma, sono come i tuoi eppure, per un crudele scherzo della vita, non sono capace di vederti.
Il secondo uppercut mi arriva da un’altra frase: «Odio il 10 maggio», che nel 2020 – anno di uscita della canzone – era il giorno della festa della mamma. Mi sono ricordato di quando insegnavo alle elementari (adesso sono alle medie: pardòn, secondaria di primo grado) e in occasione dei lavoretti per la Festa della mamma c’era sempre un bimbo o una bimba che si sentiva diverso, perché a casa la mamma non c’era. O andiamo su un brano famoso anche per chi ha qualche annetto in più, non fosse altro perché ha vinto il Festival di Sanremo.
Il testo di Non mi avete fatto niente, cantato da Ermal Meta e Fabrizio Moro, venne presentato come ispirato dalla lettera di un uomo che aveva perso la moglie, nonché madre del suo piccolo figlio. Possibile, pensai all’epoca, che uno che affronta una tale sofferenza sia in grado di dire che non gli è stato fatto niente? Può l’uccisione della persona amata essere mandata giù come un bicchier d’acqua? No. Infatti il testo di Antoine Leiris – questo il suo nome – dice l’opposto: «Sono devastato dal dolore». Però, aggiunge, «non vi farò questo regalo di odiarvi». È il manifesto di un uomo straziato che non restituisce l’odio ricevuto e non ha intenzione di educare il suo bimbo nella logica dell’orrore.
E i tormentoni? Tutti da buttare? Il più grande successo mondiale del 2020, che si è imposto grazie ai balletti su Tik Tok, è stato Jerusalema. Una canzone in lingua venda, un idioma bantu parlato in Sudafrica e Zimbabwe, e con marcati riferimenti religiosi: «Gerusalemme è la mia casa – recita il testo –. Non lasciarmi qui». E ancora: «Il mio regno non è qui / Salvami», che potrebbe rimandare alla risposta data da Gesù a Pilato (dove? A Gerusalemme, ovviamente), «il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18, 36). Nel libro ho dedicato degli approfondimenti a canzoni di Tiziano Ferro, Mr. Rain, Martina Attili, Luché, Irama, Boomdabash, Diodato (prendetevi quattro minuti per ascoltare La lascio a voi questa domenica: mi ha fatto sentire in colpa). Molti sono conosciutissimi tra i giovani e meno tra gli adulti, altri più trasversali, vedi Cesare Cremonini e i Pinguini Tattici Nucleari. Non li posso elencare tutti, perché le canzoni scelte sono, per l’appunto, 99. La centesima, se vi va, suggeritemela voi.
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