A tutela delle donne impegno senza equivoci
Due diversi scenari, assolutamente diversi tra loro, mettono in scena la figura femminile. Il primo ci porta a Trento nei giorni dell’adunata degli alpini. Stando ad alcune denunce verbali, rilanciate con grande enfasi dalle testate nazionali, qualche alpino avrebbe molestato con parole pesanti e anche allungando le mani qualche ragazza presente alla grande festa tricolore...
Due diversi scenari, assolutamente diversi tra loro, mettono in scena la figura femminile. Il primo ci porta a Trento nei giorni dell’adunata degli alpini. Stando ad alcune denunce verbali, rilanciate con grande enfasi dalle testate nazionali, qualche alpino avrebbe molestato con parole pesanti e anche allungando le mani qualche ragazza presente alla grande festa tricolore. Per ora non abbiamo notizia di denunce circostanziate che consentano di individuare i colpevoli, per cui l’accusa rischia di trasformarsi in un sospetto generalizzato, magari capace di produrre un nuovo luogo comune, accanto a quello logoro dell’alpino tutto grappa e fiaschi de vin.
Non sono qui a fare difese di ufficio. Chi ha visto dall’interno una adunata, con quattro, cinquecentomila persone ammassate in un generale clima di euforia, si sarà reso conto di quanto sia facile che qualcuno travalichi i limiti dell’autocontrollo, specialmente quando l’alcol accomuna maschi e femmine indistintamente. Non è motivo per giustificare. Le donne vanno rispettate sempre, anche quando ci mettono molto del loro per non farsi rispettare. Vedere per credere. Alpini si è, ma alpini si diventa ogni giorno, cominciando da queste situazioni, che non sono certo dettagli. Ciò detto, L’Ana, che si accinge a celebrare i suoi cento anni dalla fondazione, mai era stata oggetto di simili accuse. Le donne degli alpini e con gli alpini sono un pilastro portante dell’associazione, la quale, senza di loro, non avrebbe potuto fare le tante e preziose iniziative di cui può vantarsi.
Il secondo scenario ci porta a Verona dove una giovane ragazza pachistana si innamora di un coetaneo italiano. Il padre e il fratello ci provano con le brutte a farla tornare sulle loro. Dopo aver denunciato il padre violento, viene accolta in una comunità protetta. Nel frattempo rimane incinta. Con un pretesto i genitori la fanno rientrare in Pakistan. Qui viene segregata, legata in un letto per ore e fatta abortire da una mammana. Lei riesce a mandare qualche messaggio ai compagni di Verona. Il tam tam della polizia riesce a farla liberare in tempo e metterla al sicuro.
Impressionante il commento del fratello: «Mia sorella si è ribellata a Dio. Ha distrutto la nostra famiglia, disonorandoci davanti ai parenti e a tutto il Pakistan». Sono passati più di sette secoli da quando la storia della rivalità tra Montecchi e Capuleti ha consentito a Shakespeare di mettere in piedi il mito di Giulietta e Romeo. La storia di Farah, questo il nome della ragazza pachistana, sembra portare indietro le lancette all’orologio dell’oscurantismo religioso e sociale di quei tempi.
Una ferita non solo verso le donne, ma prima ancora contro i principi della nostra Costituzione, che dovrebbe ben conoscere e rispettare chi chiede di potere vivere nel nostro Paese. Accettare compromessi su questo fronte, magari in nome di Dio o della cultura di provenienza, può davvero diventare una bomba a orologeria, come se non ne avessimo già abbastanza dei troppi violenti di casa nostra.
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