A Carpi e Frosinone dove vince lo sport
La cronaca di questi giorni ci dà notizia di 41 fermi di polizia per altrettanti calciatori, dirigenti e presidenti di calcio di squadre di Lega Pro (vecchia serie C) e serie D. Una collana di illegalità, che da tempo sembra accomunare tutti gli sport senza distinzione...
La cronaca di questi giorni ci dà notizia di 41 fermi di polizia per altrettanti calciatori, dirigenti e presidenti di calcio di squadre di Lega Pro (vecchia serie C) e serie D. Una collana di illegalità, che da tempo sembra accomunare tutti gli sport senza distinzione. Dalle sostanze dopanti, alle scommesse clandestine, il tutto nel nome di quel dio denaro, che sembra essersi impadronito degli atleti e dei loro responsabili a tutti i livelli. Gli antichi romani parlavano di mens sana in corpore sano, riferendosi allo sport come sorgente di equilibrio complessivo per la persona. Oggi sembra che questo assioma sia miseramente caduto sulle secche dell’interesse affaristico, dove il corpo sano male si coniuga con menti bacate, disposte a tutto, pur di passare all’incasso.
Ma non tutto, nello sport come nella vita, può essere catalogato come malaffare. Anzi. In questi giorni la cronaca calcistica ci regala due autentiche vittorie dello sport, di quello che sa ancora stupire. Due squadre di calcio, il Carpi e il Frosinone, per la prima volta nella loro storia si sono viste promosse in Serie A, pronte a misurarsi coi giganti che da sempre occupano la scena in questa categoria.
Due squadre per due città, con meno di centomila abitanti, espressione di territori semplici e laboriosi, che hanno saputo mettere insieme la passione sportiva con bilanci societari assolutamente oculati e risparmiosi. Bilanci da un milione e seicentomila euro complessivi, cifra che, nelle altre squadre, copre sì e no i costi per le riserve.
Il segreto di queste conquiste viene da tante sementi. Quella di società sane, ma soprattutto quelle di tanti giovani talentuosi, che hanno fatto una lunga gavetta e con umiltà cercano il momento per mostrare di che cosa sono capaci.
Registro peraltro anche la supponenza di non pochi “esperti” che considerano questi fenomeni come meteore, partendo da una convinzione molto diffusa, che vorrebbe solo le grandi città capaci di esprimere calcio a determinati livelli. È vero che la grande città ha un bacino di potenziali supporter in grado di garantire tifo ed incassi, ma è anche vero che a ragionare in termini strettamente sportivi, la bellezza di uno sport non si misura necessariamente sui numeri altisonanti del suo pubblico pagante.
Verona va additata ancora una volta come esempio eloquente in questo senso. Lo scudetto vinto dalla squadra scaligera nell’85, contro tutte le previsioni possibili, e la sorprendente ascesa del Chievo, piccola squadra di quartiere, che ha colpito con le sue imprese la cronaca e l’ammirazione mondiali, sono lì a ricordarci che fare sport è ancora possibile anche fuori dalle logiche perverse del denaro come giustificazione finale di tutto.
Del resto era proprio questa logica che aveva spinto Lotito, intrigante e limaccioso presidente della Lazio a fare improvvide dichiarazioni sulle squadre di città minori. A febbraio, nel corso di una telefonata col presidente della Lega B, sosteneva che un’eventuale promozione di Carpi e Frosinone sarebbe stato un problema per la commercializzazione dei diritti Tv. Le intercettazioni di questi giorni che lo vorrebbero mediatore per giochi sporchi sui diritti televisivi tra Sky e Mediaset, ci consentono di capire molte cose. Soprattutto che lo sport in molti casi non c’entra niente.