Fratelli tutti
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Creati per amare e con il diritto di essere amati

Nell’enciclica Fratelli tutti, papa Francesco mette in risalto la vocazione dell’uomo, creato da Dio Amore, ad amare tutti gli esseri umani, tutti creati da Dio Amore, che hanno diritto di essere amati. In sostanza, è questo il contenuto del terzo capitolo dell’enciclica. Parte da questa idea: l’uomo si sviluppa attraverso il dono di sé; comunica con se stesso nella misura in cui comunica con gli altri.

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (330), Vescovo di Verona (247), Fratelli tutti (10), Papa Francesco (121)

Nell’enciclica Fratelli tutti, papa Francesco mette in risalto la vocazione dell’uomo, creato da Dio Amore, ad amare tutti gli esseri umani, tutti creati da Dio Amore, che hanno diritto di essere amati. In sostanza, è questo il contenuto del terzo capitolo dell’enciclica. Parte da questa idea: l’uomo si sviluppa attraverso il dono di sé; comunica con se stesso nella misura in cui comunica con gli altri. C’è per così dire un legame di fraternità che proviene dalla stessa natura dell’uomo. Siamo fatti per l’amore, cioè per uscire da noi stessi, e accogliere gli altri, se vogliamo realizzare noi stessi. Sicché l’avarizia, ad esempio, è contro natura. In sintesi, “la statura spirituale di una esistenza umana è definita dall’amore”. Ne consegue che “l’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita”. E l’altro sta per “tutti”. In effetti, l’amicizia sociale (terminologia cara a papa Francesco) non esclude nessuno e la fraternità rimane aperta a tutti. Per questo il Papa ci ricorda che “l’amore ci fa tendere verso la comunione universale… l’amore esige una progressiva apertura”, fino a “far convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza”. Del resto, il sistema stesso di interconnessioni “rende ancor più palpabile la consapevolezza dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le Nazioni della terra”. Nessuno allora può essere considerato un forestiero esistenziale o un corpo estraneo alla società. Il razzismo è inumano. Tutti, sofferenti, disabili, anziani hanno diritto di essere partecipi attivamente alla comunità civile ed ecclesiale. Purtroppo, oggi predomina “un modello di globalizzazione che tende a eliminare tutte le differenze”, rendendo l’umanità monocromatica. Cambiano anche i termini in un mondo così globalizzato. Al posto di prossimo o fratello si preferisce socio, sottolineando con ciò la comunanza di interessi. D’altra parte, la fraternità matura in una cultura di dialogo e di mutuo arricchimento dei valori, e non nell’esaltazione delle libertà individuali che, esasperando il senso dell’autonomia, fa vivere nella solitudine o in mondi chiusi tra soci. Alla radice di questa cultura bacata, incapace di fraternità sta l’individualismo che non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. È un virus letale che, nell’esigere di avere briglie sciolte alle proprie ambizioni, ci inganna. Occorre creare una cultura diversa: “Rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza”. Di conseguenza, precisa il Papa, “ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale”. Purtroppo, non si offrono in uguale misura diritti uguali là dove “la società si regge primariamente sui criteri della libertà di mercato e dell’efficienza”. Di fatto, quindi, molti sono impediti di accedere a tali opportunità. E ciò può diventare causa di conflitti e di violenze. La ragione sta nel degrado dell’etica, cioè dei principi fondamentali dell’umanesimo. A cominciare dal principio etico della solidarietà, di cui radice è la famiglia, capace di prendersi cura e farsi carico dei più deboli. Occorre allora “lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi”. Occorre altresì eliminare il privilegio di alcuni a scapito della dignità di altri. Prendendo sempre più coscienza della “destinazione comune dei beni creati”. Sono un furto i beni tenuti per sé mentre altri muoiono di fame, come in sostanza affermava san Giovanni Crisostomo. Ci sono poi da salvaguardare i diritti delle donne.
Certo, il Papa non condanna l’attività degli imprenditori, anzi la definisce “una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti”. A patto che sia destinata a superare le condizioni di miseria e di inequità. Non è lecito pertanto sfruttare le risorse naturali dei Paesi più poveri, creando gravi sperequazioni. Conclude papa Francesco affermando che diritto fondamentale dei popoli è quello alla sussistenza e al progresso. Al riguardo si impone la questione del debito estero che paralizza tanti popoli. A tale scopo occorre educare a un’etica “della solidarietà, della cooperazione e della corresponsabilità nell’intera famiglia umana”.

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