Uomini di fede e testimoni di carità
Due sacerdoti a lungo messi ai margini in quanto profeti scomodi, non compresi da molti, dentro e fuori la comunità cristiana, ma sempre obbedienti a Dio e alla Chiesa e felici di essere preti...
Due sacerdoti a lungo messi ai margini in quanto profeti scomodi, non compresi da molti, dentro e fuori la comunità cristiana, ma sempre obbedienti a Dio e alla Chiesa e felici di essere preti. Il pellegrinaggio compiuto da papa Francesco sulle loro tombe ha offerto la possibilità di riscoprire le figure di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani, al di là delle etichette limitanti che vennero loro affibbiate. Ma oltre a rivalutare questi due sacerdoti anche grazie a quella distanza temporale che consente una migliore messa a fuoco del loro operato, è importante cogliere il fulcro del loro messaggio.
Anzitutto la testimonianza di carità pastorale, che sempre vale più di molte parole e consente alla Chiesa di crescere non col proselitismo che non è cristiano ma, appunto, per attrazione. Don Mazzolari ha vissuto «da prete povero, non da povero prete» e ha amato i poveri, consapevole che «la credibilità dell’annuncio passa attraverso la semplicità e la povertà della Chiesa», ha evidenziato il Papa. Così pure don Milani «ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve, perché sia difesa e promossa la loro dignità di persone»; in particolare il priore di Barbiana ha saputo «ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia».
Ma si può essere testimoni autentici solo se Cristo è al centro della propria vita. La dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è la radice di tutto ciò che ha fatto. Ma «il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito». Così pure la parola di don Mazzolari, definito da Giovanni XXIII «la tromba dello Spirito Santo nella Bassa padana», «attingeva chiarezza di pensiero e forza persuasiva alla fonte della Parola del Dio vivo, nel Vangelo meditato e pregato, ritrovato nel Crocifisso e negli uomini, celebrato in gesti sacramentali mai ridotti a puro rito». Entrambi amarono la Chiesa, che pure li osteggiò. Desiderosi di cambiarla dal di dentro, ma animati da «amore appassionato e dedizione incondizionata» nei suoi confronti, «con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni», come il Papa ha detto di don Milani.
Questi due parroci hanno lasciato un segno indelebile nella Chiesa italiana.