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Un impegno: comunichiamo usando il cuore

Oggi si vive di comunicazione, di parole, eppure nonostante la straordinaria quantità di strumenti facciamo tanta fatica a parlare con le persone. Lanciamo un numero spropositato di messaggi tramite le nostre piattaforme che chiamiamo “social” mentre diventiamo sempre più “asocial”.

Parole chiave: comunicazione (7), social (35), Editoriale (407), Stefano Origano (141)

Oggi si vive di comunicazione, di parole, eppure nonostante la straordinaria quantità di strumenti facciamo tanta fatica a parlare con le persone. Lanciamo un numero spropositato di messaggi tramite le nostre piattaforme che chiamiamo “social” mentre diventiamo sempre più “asocial”. È facile parlare davanti ad una telecamera, digitare su una tastiera; ma parlare realmente con le persone che abbiamo attorno, che a volte rischiamo di non ascoltare o di travisarne le parole, è sempre più difficile. Ecco il paradosso: parliamo a chi non c’è e non riusciamo più a farlo con chi ci sta a fianco. Pensiamo, per esempio, a come è cambiato il modo di scambiarsi gli auguri per le feste di Natale: una volta si scrivevano delle lettere, poi si è passati ad un biglietto, con l’avvento delle nuove tecnologie sono arrivati i messaggini tramite il telefono ed infine basta un tweet ai nostri contatti e con una sola operazione abbiamo “sistemato” tutti senza fare troppa fatica.
Ma è proprio qui il punto: comunicare è impegnativo, richiede il tempo che l’altro ti ascolti e la pazienza perché ti dia una risposta, forse. Richiede anche il lavoro di dire le cose in modo rispettoso verso coloro a cui ci rivolgiamo. Ecco perché quest’anno ho deciso di non rispondere ai messaggini fatti in serie e “sparati” un minuto dopo la mezzanotte di Capodanno.
Anche il presidente Sergio Mattarella ha voluto superare, almeno simbolicamente, queste barriere pronunciando il suo discorso di fine anno rivolto alla nazione da una nuova collocazione, una poltrona e non una scrivania, quasi a voler togliere ogni ostacolo tra sé e gli italiani all’ascolto. Oltre al modo di presentarsi, anche il linguaggio scevro da ogni forma di politichese e improntato alla semplicità era in tono quasi amichevole. Una scelta stilistica che ha toccato il vertice (o il fondo, a parere di alcuni) quando ha rivolto il suo saluto al Papa chiamandolo semplicemente “Francesco”, senza altri titoli, come rivolgendosi ad un familiare. Le difficoltà e le speranze degli italiani nella vita di tutti i giorni sono stati gli argomenti richiamati dal presidente: lavoro, disuguaglianze sociali, evasione fiscale, ambiente, terrorismo, immigrazione, legalità, corruzione, ma anche esempi positivi citando storie coraggiose fatte di impegno e dedizione, di attaccamento al bene comune e di eccellenza italiana apprezzata in tutto il mondo. È quasi impossibile non trovare delle correlazioni con le parole pronunciate il giorno seguente dall’altra parte del Tevere durante la celebrazione della Giornata della pace da papa Francesco. Lui già da tempo ha intrapreso questo nuovo modo di comunicare con le parole e con i gesti affrontando i temi che stanno a cuore alle persone senza cadere nel populismo o nella retorica. Se papa Francesco fa scuola anche in questo campo, gli auguriamo di trovare tanti allievi disposti a seguirlo nei modi dolci ed educati e soprattutto sui contenuti e sulle questioni decisive per la vita delle persone e della società.

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