Editoriale
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Tempo giusto per uscirne migliori di ieri

Dopo la fase di incredulità sul reale pericolo dell’epidemia di Coronavirus in Cina, abbiamo toccato con mano il lato inatteso della globalizzazione, quando siamo stati invasi dal morbo. Ora si sta tentando di “rielaborare il lutto” con una profusione di analisi culturali che intendono spiegarci cosa sta succedendo e predisporci al dopo-pandemia con una consapevolezza diversa sul senso della vita...

Parole chiave: Editoriale (407), Stefano Origano (141), Coronavirus (96)

Dopo la fase di incredulità sul reale pericolo dell’epidemia di Coronavirus in Cina, abbiamo toccato con mano il lato inatteso della globalizzazione, quando siamo stati invasi dal morbo. Ora si sta tentando di “rielaborare il lutto” con una profusione di analisi culturali che intendono spiegarci cosa sta succedendo e predisporci al dopo-pandemia con una consapevolezza diversa sul senso della vita.
Osserva Massimo Gramellini sul Corriere circa il fatto che questa epidemia ci cambierà in meglio: “Considerato lo sproposito di guerre ed epidemie che ti hanno preceduto nei millenni [signor Virus], adesso dovremmo essere tutti santi e madonne, su questa barca”. Come ogni crisi, anche questa può essere la trappola da cui non se ne esce oppure l’opportunità per un reale nuovo corso; ma non dipende dal Coronavirus, dipende da noi. Paradossalmente, al termine di questo tunnel potremmo uscire anche peggiori di prima se non abbiamo la volontà e la pazienza di lavorare continuamente su noi stessi e sulle nostre motivazioni. Ma se non si fa normalmente ogni giorno, difficilmente si inizia a farlo in tempi di emergenza, oppure si fa in modo emozionale, quindi per poco; inoltre si dovrebbe farlo per amore, non per paura.
Condivido in questi giorni alcune riflessioni con il monaco camaldolese Franco Mosconi dall’eremo di San Giorgio (Bardolino). In questo momento di fragilità e debolezza, se abbiamo la forza di abbandonare l’idea di perfezione, possiamo riscoprire il sorprendente Dio di Gesù che ci insegna la strada per amare e amarsi nel limite, facendo delle proprie e delle altrui ferite occasione di cura e di misericordia. Il nostro Dio è un Dio che interviene senza risolvere, perché curare è più che guarire. Non è un mago, ma un Padre che non può fare altro che amare. Questa è la metodologia del nostro Dio Amore.
Su questa scia diventano normali anche i gesti straordinari di due sacerdoti di cui hanno parlato le cronache recenti: don Fabio Stevenazzi, a Gallarate, che prima dell’ordinazione era medico, si è rimesso il camice per dare il suo contributo in corsia senza smettere di essere prete; don Giuseppe Berardelli, di Casnigo (Bergamo), pur in gravi condizioni ha donato il suo ventilatore polmonare a un giovane malato, dimostrando un cuore da vero pastore.
Certo, torneremo a celebrare le nostre Eucarestie, i sacramenti e i funerali; ma a nulla varrebbero senza questo Spirito e senza questa Verità.

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