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Quei soldi raccolti per noi dai bimbi del Centrafrica

Se, come scriveva don Lorenzo MIlani, “la povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale” (Esperienze pastorali), altrettanto si può dire per la ricchezza di un popolo, che non si misura con il Pil, ma sui valori culturali che trasmette. Una conferma di questa affermazione arriva da un paese molto lontano, esattamente da Bangui, che probabilmente nessuno conosceva prima che papa Francesco decidesse di aprire proprio lì la prima Porta Santa del giubileo della Misericordia...

Parole chiave: Bangui (1), Centrafica (1), Terremotati (2), Editoriale (407), Stefano Origano (141)

Se, come scriveva don Lorenzo MIlani, “la povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale” (Esperienze pastorali), altrettanto si può dire per la ricchezza di un popolo, che non si misura con il Pil, ma sui valori culturali che trasmette. Una conferma di questa affermazione arriva da un paese molto lontano, esattamente da Bangui, che probabilmente nessuno conosceva prima che papa Francesco decidesse di aprire proprio lì la prima Porta Santa del giubileo della Misericordia.
I bambini della capitale della Repubblica Centrafricana hanno fatto giungere il loro contributo di 7mila euro per la ricostruzione di Norcia. E la consegna è avvenuta in mezzo ai bambini di Norcia nella scuola materna ricostruita in legno dopo il terremoto. Un gesto che diventa un forte segnale per tutti sulla responsabilità che abbiamo verso le nuove generazioni nella trasmissione di valori autentici e di ideali grandi.
Cosa sono 7mila euro in rapporto alla catastrofe che ha messo al tappeto opere di incommensurabile valore storico e artistico, non meno di case e aziende unitamente al tessuto sociale e alla coscienza morale di quella comunità? Consideriamo che quei soldi provengono da uno dei Paesi più poveri del mondo, perciò non abbiamo nessun diritto di lamentarci del nostro, ma solo da rimboccarci le maniche e ricostruire case, chiese e soprattutto comunità di persone. Di quei soldi ci verrà chiesto conto fino all’ultimo centesimo, dovremo rispondere davanti a quei bambini poveri oltre che alla nostra coscienza e anche davanti a Dio, nel cui nome ci sono stati affidati.
Due immagini del Vangelo mi si presentano davanti. La prima è quella della vedova che mette nella cassa del tempio due spiccioli nell’indifferenza generale, ma non di Gesù che richiama l’attenzione dei suoi discepoli: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei, invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,43-44). Come a dire che si può essere “vuoti”, poveri, ma sempre resteranno due spiccioli di possibilità di relazione che, offerti senza riserva e senza paura dell’insicurezza, faranno fiorire una comunità. La seconda: il servitore che per paura di perdere tutto, seppellisce il talento ricevuto in una buca. Al ritorno del padrone restituisce soltanto la moneta ricevuta (Mt 25,14ss). Il messaggio è chiaro: non è sufficiente custodire, proteggere, difendere; occorre far crescere!

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