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Prime le italiane (e non è politica)

La bellezza dello sport risiede nel fatto che ha la capacità di unire nello stesso campo di gara persone di provenienze diverse e una vittoria della propria squadra ha il potere magico di rendere tutti felici. Un caso che ha suscitato un certo scalpore si è verificato domenica scorsa quando la staffetta 4x400 donne ai Giochi del Mediterraneo di Tarragona (Spagna) ha vinto la medaglia d’oro...

Parole chiave: Editoriale (403), Alberto Margoni (64), Staffetta 4x400 (1), Giochi del Mediterraneo (1)

La bellezza dello sport risiede nel fatto che ha la capacità di unire nello stesso campo di gara persone di provenienze diverse e una vittoria della propria squadra ha il potere magico di rendere tutti felici. Un caso che ha suscitato un certo scalpore si è verificato domenica scorsa quando la staffetta 4x400 donne ai Giochi del Mediterraneo di Tarragona (Spagna) ha vinto la medaglia d’oro. Davanti alla bandiera italiana hanno sfoggiato splendidi sorrisi e un fisico da gazzelle (altro che prova costume!) quattro atlete di colore: Libania Grenot, la più nota, di origine cubana; Raphaela Lukudo, nata ad Aversa (Caserta) da genitori sudanesi; la romana Maria Benedicta Chigbolu, il cui nonno nigeriano fu olimpionico nel 1956 e presidente della federatletica del suo Paese; Ayomide Folorunso, nata in Nigeria e venuta in Italia con la famiglia nel 2004. E allora perché tanta sorpresa, provocata anche dall’hashtag #primeleitaliane? L’atletica leggera conta ormai su un buon numero di giovani di seconda generazione, naturalizzati, adottati o giunti da noi come rifugiati che ottengono successi in tutto il mondo. Gareggiano in diverse discipline anche per i corpi militari, così da potersi dedicare in modo professionale a curare la propria specialità migliorando le prestazioni e potendo altresì contare su uno stipendio garantito. Eppure in un mondo globalizzato e multietnico come quello attuale facciamo discorsi che vent’anni fa quando Fiona May mieteva successi in tutto il mondo neppure pensavamo. Perché allora presentarle, come ha fatto Roberto Saviano, quale “risposta all’Italia razzista di Pontida”? Perché complimentarsi con le ragazze (e con gli altri azzurri vincitori) auspicando che il prossimo anno possano essere sul pratone della località bergamasca, come ha fatto Salvini? Certo, gli italiani sono sempre pronti a salire sul carro del vincitore e a strumentalizzare le cose. Ma sul podio lasciamoci andare solo le atlete e gli atleti vittoriosi, quelli che fanno salire più alto di tutti il vessillo tricolore. Quelli che su un prato o una pista puntano a lanciare o saltare un centimetro oltre l’avversario o a correre un decimo in meno, altro che il colore della pelle! Bene ha risposto Grenot: «Sono fiera di essere italiana, lo sono al 100% ed è sempre un onore alzare il tricolore e farlo sventolare. Salvini? Se vuole incontrarmi bene, ma dopo gli Europei di Berlino. Adesso devo solo allenarmi». Insomma, come direbbe un lumbard: «Trànquil che adès go de laurà».

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