Non perdere il coraggio
Ho conosciuto alcune famiglie di srilankesi e l’aggettivo che mi viene spontaneo pensando a loro è mitezza. Anche quando sono poveri e dediti a lavori umili non li ho mai sentiti lamentarsi e li ho visti sorridenti. In chiesa sono devoti e animati da una fede semplice e profonda.
Ho conosciuto alcune famiglie di srilankesi e l’aggettivo che mi viene spontaneo pensando a loro è mitezza. Anche quando sono poveri e dediti a lavori umili non li ho mai sentiti lamentarsi e li ho visti sorridenti. In chiesa sono devoti e animati da una fede semplice e profonda. Quando ho sentito la notizia degli orrendi attentati perpetrati contro le chiese nel giorno di Pasqua a Colombo in Sri Lanka, mi sono venute subito alla mente le parole del Signore: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,18). Così è stato, e così è ancora. Se la sono presa con questi perché sanno che non possono rispondere alla stessa maniera, si sono accaniti (ma la parola offende anche i cani che non sono capaci di odio come gli umani, se ancora si possono definire tali coloro che compiono questi orribili crimini) con gli innocenti che hanno l’unica colpa di pregare il Dio della pace, della misericordia e della comunione. Perché tanto odio? Perché i cristiani sono diventati le loro vittime preferite in ogni parte del mondo?
Questa domenica celebriamo la Divina Misericordia – istituita ufficialmente da Giovanni Paolo II nel 1992 che la fissò per tutta la Chiesa nella prima domenica dopo Pasqua, la cosiddetta “Domenica in albis” – per ricordare il legame profondo di questo dono di Dio con il mistero pasquale. Siamo cioè perfettamente in linea con quanto ha fatto il Signore e con quanto ha detto negli ultimi istanti prima di spirare: «Padre, perdonali».
Non meraviglia allora se proprio a Pasqua si scatenano le forze ostili contro i cristiani, meraviglia piuttosto che questo sacrificio di vite non servirà a soffocare la fede e a chiudere le chiese. È così forte l’esplosione della nostra fede, oggi, che, come Gesù stesso ebbe a dire: se le nostre voci tacessero, «griderebbero le pietre!».
Ora siamo attesi alla prova dei fatti: come reagiamo difronte a queste stragi? E se capitasse in una delle nostre chiese? È chiaro a tutti: non si va più in chiesa per abitudine, per semplice tradizione o per convenienza, ci si va sapendo che può costare caro, ma soprattutto perché lì si attinge quella grazia che ci fa passare in mezzo a pericoli e minacce con lo sguardo che guarda oltre e con la determinazione di essere orgogliosamente discepoli di Gesù misericordioso. Se dunque scegliamo di frequentare ancora le nostre chiese, facciamolo con la mitezza dei nostri fratelli cingalesi e con il volto sorridente di chi non si lascia intimidire.
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