Editoriale
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Nella natura per la natura

Tra i ricordi d’infanzia che custodisco più gelosamente ci sono i periodi durante le vacanze estive passati presso i nonni in collina. Per arrivare alla loro casa si doveva percorrere una stradella di campagna che si staccava dalla via principale...

Parole chiave: Editoriale (407), Stefano Origano (141)

Tra i ricordi d’infanzia che custodisco più gelosamente ci sono i periodi durante le vacanze estive passati presso i nonni in collina. Per arrivare alla loro casa si doveva percorrere una stradella di campagna che si staccava dalla via principale e si inoltrava in mezzo ai ciliegi e alle viti; infine ad accoglierci nella “corte” dove abitavano due famiglie, vi era un grande gelso cresciuto vicino alla stalla e con il tronco segnato da una grossa ferita (evidentemente una parte della pianta era stata tagliata per permettere il passaggio di un carro). Quell’albero era come un guardiano e segnava una barriera che obbligava a fermarsi, permettendo il transito solo a piccoli mezzi. Era detto el moràr e sotto le sue fronde vi si svolgevano diverse attività lavorative e familiari: una specie di stanza a cielo aperto con delle seggiole per prendere il fresco durante le ore più calde e dove la nonna svolgeva una infinità di lavoretti interessantissimi. Il suo tronco, a neanche un metro di altezza, si divideva in una forcella che sembrava fatta apposta per salirci ed io mi ci arrampicavo spesso, perché così potevo vedere tutto dall’alto, quasi estraniandomi dalla scena.
Ricordo ancora la sensazione di quella corteccia ruvida al tatto, il profumo delle more e le colonne di formichine che salivano e scendevano instancabili nel loro incessante andirivieni; e poi il ronzio incessante per niente fastidioso delle api operaie. Insomma: la vita lì brulicava in forme molteplici e spettacolari, un vero e proprio microcosmo.
Dall’altra parte del cortile si ergeva gigantesca e ieratica una quercia plurisecolare, el ròaro, che mi ha svelato il significato del tempo. Questa pianta mi ha insegnato che esso non è la successione dei tic-tac di un orologio, ma ha due componenti: una determinata dai cicli stagionali del germoglio, fioritura e maturazione dei frutti (i rami) e una rappresentata dalla stabilità di un vivente che per secoli era rimasto lì indifferente a guerre, invasioni, cambio di regimi politici… (il tronco e le radici).
Vi era poi una fontanella per l’acqua che sgorgava melodiosamente un paio di centinaia di metri più in basso rispetto alle case e che si poteva raggiungere per attingere attraverso un viottolo che all’andata era invitante, ma al ritorno diventava un Calvario con i due secchi pieni appesi alle estremità di una stanga di legno ricurvo da portare sulle spalle.
Quelle vacanze erano esercizi che mi hanno insegnato cos’è l’azione a beneficio della Terra e dei viventi che la abitano. Tanta mobilitazione ecologica nasce dalla paura o dai sensi di colpa, ma queste non sono capaci di sostenere un impegno personale proattivo e duraturo per la casa comune. Solo riprendendo contatto fin da piccoli con gli esseri viventi, risvegliando tutte le sensorialità a contatto con le diverse forme di vita naturale ci è permesso di trovare il nostro giusto posto nella Terra dei viventi e di liberarci dalla pretesa dell’età moderna di considerarci l’”io” esclusivo dell’universo visto come uno sfondo indifferente per la ribalta solamente umana. Non per niente il primo compito che il Signore affidò ad Adamo, come racconta la Bibbia, è stato quello di dare un nome a tutte le creature, cioè una dignità e un posto. Tranne che per sè stesso...

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