Lettera a tutto il Popolo di Dio
Scrive al Popolo di Dio, il Papa e non si tratta di un sasso gettato nello stagno, destinato ad alzare qualche onda e poi a lasciarlo come prima, stagnante, fermo: piccola pozza di acqua stantìa dove proliferano gli invertebrati.
Scrive al Popolo di Dio, il Papa e non si tratta di un sasso gettato nello stagno, destinato ad alzare qualche onda e poi a lasciarlo come prima, stagnante, fermo: piccola pozza di acqua stantìa dove proliferano gli invertebrati. Scrive al Popolo di Dio per rammentargli che il peccato della pedofilia è sempre orribile, ma diventa insopportabile quando perpetrato da chi indossa gli abiti del buon pastore, ma dietro nasconde le fauci del lupo. E invita tutti a fare penitenza, a digiunare, a pregare con più intensità anziché lanciare una semplice scomunica ai quei religiosi che gettano discredito su tutta la categoria. In fondo cosa c’entrano i semplici cristiani se qualche mela marcia non ha nessuna remora a violare i più piccoli e indifesi?
E invece no. La Chiesa si risolleverà da questa orrenda piaga purulenta solo se prenderà coscienza che “la grandezza degli avvenimenti esige un farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria”. Innanzitutto facendoci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito. Papa Francesco invoca questa solidarietà anche “quando si tratta di denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona. Solidarietà che reclama la lotta contro ogni tipo di corruzione, specialmente quella spirituale”. Se non è tutto il Popolo di Dio a reagire, non ne verremo mai a capo.
Esiste una responsabilità diretta di chi commette tali abomini, ma ce n’è una che tocca coloro che hanno la missione di vigilare e di proteggere e c’è infine la responsabilità di chi con i propri peccati personali alimenta la diffusione del male che poi si trasforma in bramosia di dominio e di possesso. «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme»: con queste parole di san Paolo ci spinge a non rammaricarci per l’imbarazzo recatoci, per la vergogna di cui ognuno deve portare un lembo, ma a fare un “digiuno che ci scuota e ci porti ad impegnarci contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di coscienza”.
Dal Vangelo abbiamo modo di apprendere che in tutta la sua vita Gesù si è adirato due volte: quando ha visto la profanazione del tempio e quando ha visto maltrattare i bambini. Le due cose hanno molto in comune perché tempio di Dio è l’uomo e dunque “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt 18,6). Ecco perché pubblichiamo la lettera integralmente a pagina 4: ci riguarda tutti.
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