Legge ai saldi di legislatura
Giunti agli sgoccioli della legislatura ci auguriamo di non assistere ai “saldi di fine stagione” per quei provvedimenti che sono lì ad un passo per diventare legge dello Stato e riguardano la coscienza delle persone...
Giunti agli sgoccioli della legislatura ci auguriamo di non assistere ai “saldi di fine stagione” per quei provvedimenti che sono lì ad un passo per diventare legge dello Stato e riguardano la coscienza delle persone. D’altra parte c’è anche la preoccupazione dell’attuale Governo di non incorrere in qualche bocciatura mentre è ancora in ballo il percorso della legge di bilancio. In questo clima poco chiaro, è invece chiarissimo l’intendimento di coloro che hanno la dichiarata intenzione di “portare a casa” la legge sul fine vita. Per arrivare a ciò si prende tutto quello che si trova, anche le dichiarazioni del Papa, benché in realtà parlino di altro. Ma siamo in tempi in cui tutto fa brodo e la gazzarra mediatica in fondo potrebbe avvantaggiare qualcuno.
Ma che cosa ha detto veramente il Papa così da far pensare a un cambiamento della dottrina della Chiesa sul fine vita e tale da suscitare aperti o più obliqui tentativi di strumentalizzazione? Mi pare che in realtà ci sia qualcosa di nuovo nelle parole di papa Francesco pronunciate preso la Pontificia accademia per la vita, ma non nel merito dei contenuti, quanto nel metodo. Da una parte il Papa prende le distanze dall’accanimento terapeutico che persegue ostinatamente la vita a tutti i costi, e dall’altra mette in guardia dall’abbandono. Sono entrambi illeciti, ma dove sta il confine tra accanimento e abbandono? A tale riguardo papa Francesco richiama il principio di proporzionalità. Rimane chiaro che l’eutanasia è sempre illecita, ma se si rinuncia a cure sproporzionate, «non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire» e di viverla come l’ultimo atto della vita, perché «il morire è pur sempre un momento estremo del vivere».
Questo è il principio, chiaro. Meno chiara è l’applicazione e assai problematica anche per la complessità e il livello di sofisticazione raggiunto della medicina. Infine non è da trascurare il pericolo della ineguaglianza terapeutica perché le tecniche più evolute costano e sono pochi coloro che se le possono permettere. In un quadro così complicato, dubito che una legge fatta in tutta fretta possa dettare una regola generale da applicare meccanicamente per tutti i casi. Prima di legiferare, meglio considerare il bene della persona non dimenticando che ogni altro ragionamento non deve mai prendere il sopravvento su di essa, e non dimenticare il principio della realtà che ci fa toccare con mano “la situazione soggettiva cioè il modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (Amoris laetitia).