Editoriale
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La “liquidità” di Bauman ci sfida e stimola

Raramente dentro la Chiesa si è sentito il senso di affezione per un non cristiano come lo si è sentito con la scomparsa di Zygmunt Bauman. È sorprendente che uno sguardo nitido e una voce chiara per un ripensamento sul significato dell’esperienza di fede ci venga dall’esterno, da un agnostico.

Parole chiave: Editoriale (407), Stefano Origano (141), Bauman (1)

Raramente dentro la Chiesa si è sentito il senso di affezione per un non cristiano come lo si è sentito con la scomparsa di Zygmunt Bauman. È sorprendente che uno sguardo nitido e una voce chiara per un ripensamento sul significato dell’esperienza di fede ci venga dall’esterno, da un agnostico.
Il lessico della Modernità liquida (e non solo) è entrato nell’immaginario collettivo e nel linguaggio comune anche della Chiesa. L’immagine della liquefazione ci richiama in modo efficace la dissoluzione di quei corpi solidi precedentemente costruiti come i principi etici e religiosi, i rapporti di classe e le strutture sociali. Alla fine del processo tutto risulta inafferrabile, sciolto nell’individualismo senza più una casa comune. Ecco la fine della modernità e l’ingresso nella post-modernità dove non ci sono più cittadini ma semplici consumatori e il confine tra spazio pubblico e privato è svanito. Ora è l’individuo il depositario della libertà e della identità, ma questo clima di solitudine fa crescere il fascino di nuove idee di solidarietà tra individui per controbilanciare la crescente insicurezza del mondo fluido moderno. Si tratta però di forme di comunitarismo dove tutti i rapporti sono individualizzati e regolati in modo utilitaristico. Il discorso si potrebbe allargare anche ai temi del lavoro, dell’uso del tempo e dello spazio, dei fenomeni migratori e dell’informazione globale.
Se il pensatore polacco è stato un vero e proprio specchio dove vedere riflessa l’immagine di un’epoca, prendendo un po’ le distanze per non guardarci addosso e di questo gli siamo grati, ci sentiamo di dire sommessamente che non è solo pantano quello in cui ci dibattiamo, ma ci sono anche delle opportunità che si dischiudono. “Il pericolo è di fare come Ponzio Pilato, ossia di lavarci le mani delle conseguenze delle attuali tribolazioni, di cui siamo tutti contemporaneamente, in certa misura, vittime e colpevoli” (Stranieri alle porte) riferendosi a papa Francesco che pone come esempio di ciò che andrebbe correttamente fatto in una realtà segnata dallo spostamento di enormi masse di gente.
Se il cambiamento in atto non risparmia nessuno, Chiesa compresa, una soluzione razionale, capace di offrire speranza da qualunque parte provenga, va accolta con attenzione. Questo insegnamento vale anche per quegli ambienti super-laici che fanno finta di non vedere quanto la fede pragmaticamente si prenda cura della realtà.

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