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L’ ultima sfida: essere soltanto l’uomo Francesco

Domenica scorsa nella Capitale la parola più pronunciata, cantata, scritta, sventolata, postata sui social... era “Francesco”. E non si trattava del Santo Padre, ma del capitano dell’A.S. Roma...

Parole chiave: Totti (1), Editoriale (407), Stefano Origano (141), Francesco (20)

Domenica scorsa nella Capitale la parola più pronunciata, cantata, scritta, sventolata, postata sui social... era “Francesco”. E non si trattava del Santo Padre, ma del capitano dell’A.S. Roma.
Per chi non è romano o romanista è difficile capire fino in fondo il significato di una manifestazione di popolo come quella che ha fatto da cornice all’ultima partita di campionato allo stadio Olimpico. Siamo abituati ai cori, alle bandiere, alle standing ovation, ma lì si è celebrata un’altra liturgia, una festa e un dramma insieme che ha sancito la fine di un’epoca oltreché della carriera di una campione del pallone.
I simboli hanno sempre una grande importanza, ma cambiano: dall’eroe che rimane fedele per sempre alla città e alla maglia diventando l’icona di un popolo si passa ad altri simboli come lo stadio di proprietà, la quotazione in borsa, i magnati stranieri. E in tutto questo cambiamento uno come Totti diventa un bellissimo ma ingombrante soprammobile che non si sa dove mettere quando si ristruttura la casa. Nelle lacrime dei tifosi tutta la nostalgia e i ricordi di tante “battaglie” sui campi di calcio, compreso l’orgoglio di aver brevettato il “cucchiaio”. E nelle lacrime di lui la paura espressa con fanciullesco candore per un domani da uomo, marito e padre al di fuori del mondo incantato in cui al centro nel bene e nel male c’era sempre lui.
Giocatori fortissimi, anche più di lui ce ne sono stati e ce ne saranno ancora, ma uno come lui mai. È e rimarrà irripetibile. Per il semplice fatto che quel calcio è finito già da un po’. Il capitano di una vita ora lascia, toglie la maglietta con il numero 10 – la sua seconda pelle – e chi la indosserà in futuro? Chi lo sostituirà negli album delle figurine e nei cuori dei tifosi (non solo romani)? A parte le emozioni forti di domenica scorsa e le manifestazioni di affetto di cui sentirà certamente la mancanza, non credo che avrà grossi problemi ad affrontare la nuova fase della vita perché ha una bella famiglia e tantissimi amici, mentre invece per tutti coloro che si sono identificati fino a sentirsi una cosa unica con lui e hanno poco altro su cui sui contare, finisce il sogno.
Finito un sogno, finita un’epoca, finito un modello che con lui se ne va in pensione, ma non finisce il calcio. Continua ad essere lo sport più amato anche grazie alle prodezze del suo “Pupone” e della sua “Magica” Roma.

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