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L’Africa di san Comboni

Per la Chiesa veronese la festa di san Daniele Comboni, celebrata il 10 ottobre, non è una come tante altre. Vuoi perché il santo vescovo missionario, nato a Limone del Garda nel 1831, è anche un figlio della nostra terra, vuoi perché ha tracciato una via che ha entusiasmato tanti a seguirlo fino a sacrificare la propria vita per i popoli che vivono nelle regioni più lontane del globo.

Parole chiave: San Comboni (1), Editoriale (407), Stefano Origano (141)

Per la Chiesa veronese la festa di san Daniele Comboni, celebrata il 10 ottobre, non è una come tante altre. Vuoi perché il santo vescovo missionario, nato a Limone del Garda nel 1831, è anche un figlio della nostra terra, vuoi perché ha tracciato una via che ha entusiasmato tanti a seguirlo fino a sacrificare la propria vita per i popoli che vivono nelle regioni più lontane del globo.
I missionari e le missionarie della famiglia comboniana qui a Verona sono una presenza non marginale tanto nella comunità ecclesiale come anche in quella civile.
Questa festa non è mai stata così significativa e provocante come lo è oggi: in tempi di paure e sospetti che affiorano da ogni parte, Comboni ci parla di un legame profondo tra l’Europa e l’Africa. Un legame capace di risollevare l’Africa e di rigenerare l’Europa. Quando non era in viaggio nelle terre africane quasi inesplorate, era in visita presso le corti e gli enti europei per raccogliere fondi, creare collaborazioni e condividere progetti di evangelizzazione per l’Africa.
Provate a pensare se il suo spirito fosse stato imitato anche da coloro che invece lì vi cercavano solo profitti, o dai governi che sperimentavano la triste gloria del colonialismo e la fatua vanità di poter fregiarsi del titolo imperiale... Forse oggi staremo qui a raccontare un’altra storia. Ma la festa di san Daniele non viene per far crescere la nostalgia di un mondo bello e impossibile, bensì per aiutarci a credere che l’intuizione di Comboni è tuttora valida ed è ancora possibile cambiare rotta.
La sua storia è fatta di tanti tentativi che non andarono a buon fine, ma poi egli trovò la strada giusta per portare il messaggio del Vangelo e la promozione umana: quella della emancipazione mediante l’istruzione, e della valorizzazione della donna. E pensare che all’inizio erano partiti in cinque alla ventura in un continente di cui neanche conoscevano la reale estensione.
I pericoli maggiori non furono le febbri malariche, i leoni o i serpenti, neppure le tribù indigene, ma i mercanti di schiavi europei. Una competizione senza esclusione di colpi tra i bianchi che andavano a caccia dei “negri”, e i bianchi che della “nigrizia” hanno fatto la bandiera di una straordinaria opportunità offerta dallo Spirito per rigenerare la Chiesa.
L’augurio alla famiglia comboniana è anche un augurio alla nostra città perché riscopra la sua vocazione di apertura alla mondialità e di inclusione sociale.

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