Il senso del consenso
Il Disegno di legge sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (Dat) sarà discusso alla Camera il prossimo 20 febbraio.
L’articolo 2 è fondamentale perché chiarisce il significato che nel testo assume il rapporto di cura, la relazione fra medico e paziente...
Il Disegno di legge sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (Dat) sarà discusso alla Camera il prossimo 20 febbraio.
L’articolo 2 è fondamentale perché chiarisce il significato che nel testo assume il rapporto di cura, la relazione fra medico e paziente. Esso recita così: “L’atto fondante la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico è il consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza professionale, l’autonomia e la responsabilità del medico”.
Fatemi capire bene: il terreno d’incontro tra medico e paziente è il consenso informato? La relazione medico-paziente è uno scambio di informazioni cui segue l’autorizzazione o meno del paziente a ricevere un determinato trattamento sanitario? Ma è proprio così?
Certo il paziente non è “organismo malato” su cui sperimentare a prescindere dal suo consenso, ma è persona. Ha tutto il diritto di sapere di sé e di cosa gli sta accadendo. Ma il rapporto medico-paziente è un puro travaso di informazioni? Proprio sicuri che in questo scambio di conoscenze si dia un rapporto simmetrico tale da permettere al paziente di prendere la giusta decisione? Non lo è nemmeno quando si va dal meccanico ad aggiustare l’auto, o al mercato a comprare la verdura, perché comunque sia, mi devo fidare. Figuriamoci se si tratta di me e della mia malattia. Se cerco informazioni, vado su Google; se vado dal medico, cerco qualcos’altro. O no?
Un secondo elemento. C’è l’idea che la fiducia medico-paziente avvenga dopo lo scambio di informazioni. Fatemi capire bene: la fiducia nasce dalla quantità di spiegazioni che il medico fornisce? È proprio così? La fiducia non è piuttosto un’apertura di credito, il requisito previo per ascoltare ciò che il medico ha capito di me e della mia malattia? E perché dovrei ‘fidarmi’? Perché la scienza medica è esatta? Non è una pretesa eccessiva? Insomma è sufficiente ad un/una adolescente di 14 anni fornire tutte le informazioni possibili sulla sessualità per dire che abbiamo fatto un vero servizio educativo e meritare la loro fiducia? Oppure dovremmo implicare noi stessi nel raccontare la sessualità? Ma allora non è più solo uno scambio di informazioni. Il rapporto è divenuto qualcosa d’altro.
Un ultimo aspetto. “Nel consenso informato si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza professionale, l’autonomia e la responsabilità del medico”. Adesso capisco bene. Per il progetto di legge la relazione medico-paziente è un incontro tra due autonomie. Ma due che rimangono autonomi, si incontrano?
La Bibbia ci racconta un’altra storia. Quando Dio incontra Caino, chiede: “Dov’è tuo fratello?”. Non c’è nulla oggi come l’esperienza della malattia capace di dire il senso e la qualità politica delle relazioni umane. Non c’è esperienza come la malattia a manifestare l’originaria presenza dell’altro fra me e me, fra me e il mio destino.
È vero che i Radicali si stanno dividendo e insultando. Ma la cultura radicale è così “radicalmente” presente oggi che, forse, non c’è affatto bisogno del partito. Se a Verona ci sono medici e ospedali (e ci sono!) che vivono la professione come un servizio alla vita, cui i pazienti si possono consegnare e affidare, teniamoceli ben stretti.