Due senza
Lega e Cinquestelle. Come gli Abbagnale senza Peppiniello Di Capua.
Si chiude un’epoca. Il quadro politico uscito dalle urne è totalmente nuovo...
Lega e Cinquestelle. Come gli Abbagnale senza Peppiniello Di Capua.
Si chiude un’epoca. Il quadro politico uscito dalle urne è totalmente nuovo. Queste elezioni rappresentano un punto di svolta e un cambio di scenario profondo le cui conseguenze dovranno essere ponderate con molta attenzione. È finito il tempo della contrapposizione tra destra e sinistra, tra liberali e socialdemocratici. Altri due protagonisti si contendono la scena.
Ma soprattutto è finita l’offerta politica come competizione tra diverse interpretazioni complessive e valoriali della realtà, contrapposte ma coerenti.
In queste elezioni politiche ha perso la politica come proposta di una visione d’insieme. Ha vinto una politica come risposta a bisogni contingenti, immediati, parziali e particolari. Una politica più “contro”, che una visione e promessa di futuro.
Hanno vinto una Lega di destra e una di sinistra. La Lega del Nord e quella del Sud. Li accomuna l’approccio populista ma si tratta di gemelli diversi. Al Nord ha vinto la Lega contro l’invasione e le tasse, quella dei rimpatri immediati, della flat tax e del diritto alla legittima difesa. Al Sud ha vinto la Lega contro la casta, le banche e l’Europa, quella dei dazi commerciali, quella che ha promesso il posto fisso e il reddito di cittadinanza. Una Lega del Nord che mira a difendere i beni posizionali, l’altra al Sud che assicura vantaggi e benefici a tutti. Due leghe che si sono divise il Paese. Due leghe diverse ma dal punto di vista della figura politica che rappresentano sostanzialmente uguali. Due rematori sulla stessa barca che non si guardano negli occhi, e dove un vero timoniere non c’è. Gemelli diversi. Molto diversi: come conciliare un programma fondato sul reddito di cittadinanza con quello che ha come suo cardine la flat tax al 15 per cento? Mondi lontani.
In uno scenario nel quale le classi sociali sono meno definite rispetto al passato, la politica fatica a intercettare i bisogni sempre più frammentati della gente. A fronte di un deciso affievolimento dell’identità collettiva, il voto di domenica ha premiato le proposte più focalizzate sulle istanze individuali che su quelle generali. La crisi economica ha acuito l’insoddisfazione, e la preoccupazione per la propria situazione economica ha aumentato le disuguaglianze, il senso di vulnerabilità e la domanda di protezione sociale. Ha accentuato il senso di esclusione facendo emergere paure e fratture profonde.
Il voto di domenica ha denunciato la mancanza di una visione comune di società. Un’immagine condivisa di quello che vogliamo essere e di quello che vogliamo diventare come Paese. Le proposte populiste e “di pancia” evidenziano questa carenza di una visione di futuro perché il futuro è schiacciato sul presente. Questo schiacciamento inibisce qualsiasi forma di progettualità, di sguardo a lungo termine e di prospettiva. Manca un progetto comune – non solo mio – che ci dia fiducia e che ci faccia battere il cuore come italiani. Non è più sufficiente la Nazionale di calcio (fuori dai mondiali! Sigh...). Ognuno invece procede a tentoni, per conto suo, alla ricerca di un’improbabile felicità individuale. Ciò che manca è proprio una proposta complessa e complessiva. Governare significa indicare una strada e percorrerla. Significa sì, conoscere gli strumenti; ma significa altrettanto conoscere la rotta e la destinazione. Oggi la politica manca di questa visione di Paese nella sua interezza. Il voto di domenica ha detto che ne possiamo fare “senza”. Ci bastano quei “due”. Ma fino a quando?
E qui si apre una seria riflessione per i cattolici (e non solo). Come va ripetendo il card. Bassetti, i cattolici hanno il compito di “rammendare”, costruire relazioni, non temere le fratture o i conflitti (dentro e fuori la Chiesa) e costruire ponti. Non è forse questo il momento di tornare a generare ed elaborare pensiero? Un pensiero integrale di persona e di società su cui chiedere alle forze migliori del Paese un confronto e una riflessione seria? Non è forse giunta l’ora di tornare alla formazione di luoghi e figure di mediazione (in tutti i campi), capaci di includere e di pensare “lontano”?
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