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Chiesa italiana: le tre “spine” di Francesco

Come un padre che davanti alla famiglia riunita esprime le cose che gli stanno più a cuore. Così papa Francesco lunedì ha aperto i lavori della 71ª assemblea generale della Cei...

Parole chiave: Editoriale (407), Alberto Margoni (64), Papa Francesco (121), Cei (19)

Come un padre che davanti alla famiglia riunita esprime le cose che gli stanno più a cuore. Così papa Francesco lunedì ha aperto i lavori della 71ª assemblea generale della Cei. In un intervento piuttosto breve non ha affrontato il tema al centro dei lavori dell’episcopato italiano (“Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo”) ma ha manifestato tre preoccupazioni: la crisi delle vocazioni; povertà evangelica e trasparenza; la riduzione e l’accorpamento delle diocesi. Tralasciando quest’ultima annosa e irrisolta questione, l’«emorragia di vocazioni» è un problema di non poco conto sia per le chiese locali, sia e ancor di più per gli istituti religiosi, di cui però troppo poco si parla. Un piccolo ma significativo esempio, del quale venni a conoscenza: al 1° maggio 2017 gli studenti di teologia italiani presso i Missionari Comboniani (un glorioso istituto i cui membri, come ha ricordato il card. Zenari, vengono chiamati nel mondo “Verona fathers”, i “padri di Verona”) erano soltanto quattro. Certo, il crollo delle nascite ha la sua influenza, così come il «frutto avvelenato della cultura del provvisorio, del relativismo e della dittatura del denaro», ricordati dal Papa, insieme «agli scandali e alla testimonianza tiepida». E poi giovani sempre più fragili e indecisi, che stazionano per anni se non per decenni sulla rotonda della vita senza mai decidersi a imboccare una strada (e questo vale anche per le vocazioni al matrimonio). Personalmente mi ha sempre colpito il fatto che gli istituti religiosi e di clausura che propongono una profonda radicalità evangelica soffrano meno di altri la crisi vocazionale. «Senza povertà non c’è zelo apostolico, non c’è vita di servizio agli altri», ha ricordato il Pontefice. E non basta la professione solenne del voto o l’impegno preso il giorno dell’ordinazione per dirsi poveri. Il distacco dal denaro va coniugato con la trasparenza e l’esemplarità nella gestione dei beni, in primis quelli non personali ma che sono stati affidati alla nostra responsabilità.
Papa Francesco ha poi suggerito «una più concreta e generosa condivisione fidei donum tra le diocesi italiane». Un’esperienza già attuata da tempo dalla nostra diocesi sul piano del dono nei confronti di Chiese con meno preti, più che dello scambio. L’ideale, a mio modesto parere, sarebbe l’inserimento in un’altra realtà sulla base di un progetto chiaro, per un tempo definito e non da soli ma almeno in due o tre, così da evitare il rischio di “fughe mascherate”.

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