Commento al Vangelo domenicale
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Spirito di santificazione, di verità e di coraggio

Pentecoste

Giovanni 15,26-27; 16,12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Parole chiave: Don Adelino Campedelli (78), Vangelo (415), Pentecoste (5)

Nella solennità della Pentecoste non possiamo non porre l’attenzione sul racconto dell’evento che ascoltiamo oggi nella prima lettura dal libro degli Atti degli Apostoli al capitolo secondo. E non è tanto la spettacolarità di alcuni aspetti del racconto che deve farci impressione, quanto piuttosto il suo significato più profondo con la trasformazione degli apostoli da paurosi e vili discepoli che fuggono all’arresto di Gesù, a coraggiosi testimoni del Signore risorto e da poveri pescatori della Galilea a testimoni della riunificazione di tutte le lingue della terra in un’unica lode per le grandi opere di Dio.
Nel mistero della Pentecoste Dio continua a santificare la sua Chiesa. Egli effonde il suo Spirito per rinnovare il volto dell’umanità. La Pentecoste non appartiene al passato, è sempre attuale: non vi è assemblea liturgica in cui lo Spirito Santo non agisca, nell’ascolto della Parola, nella trasfigurazione dei doni eucaristici perché siano segno e memoriale del dono di Cristo, nella riconciliazione delle persone attraverso il reciproco perdono, nella testimonianza della vita nuova dei battezzati.
Poniamo ora l’attenzione al Vangelo di oggi, che è l’unione di due passi di Giovanni ricavati dai “discorsi d’addio” di Gesù in cui ai discepoli sconcertati e preoccupati per la sua imminente partenza è promesso un altro Consolatore: “lo Spirito di verità” dono del Signore nel momento della sua esaltazione sulla croce, quando esala/dona il suo Spirito. I discepoli pertanto non saranno lasciati orfani: un altro Consolatore verrà a guidarli alla verità tutta intera, «perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito, e vi annuncerà le cose future» (Gv 16,13).    Qual è pertanto la missione dello Spirito Santo nella Chiesa, secondo l’evangelista Giovanni? Il compito principale dello Spirito, secondo quanto rivela Gesù stesso, è rendergli “testimonianza”, al punto che può essere chiamato “Spirito di verità”. Dato che Gesù è la verità stessa (cfr Gv 14,6), dire “Spirito di verità” equivale a dire Spirito di Gesù. È per questo che il Consolatore o Paraclito può guidare i discepoli e i futuri credenti alla Verità. Egli, infatti, «non parlerà da se steso, ma dirà tutto ciò che avrà udito». In altre parole lo Spirito non aggiungerà nulla alla rivelazione di Gesù e gli renderà testimonianza facendo comprendere che in lui la rivelazione di Dio ha raggiunto tutta la pienezza.
Le molte cose di cui i discepoli non sono ancora in grado di portare il peso, saranno spiegate dallo Spirito. L’intelligenza della fede è il dono che farà ai discepoli, perché diventino anch’essi testimoni di Gesù “via verità e vita”, nel mondo e per il mondo. In ultima analisi la missione dello Spirito è allora quella di rendere attuali e intelligibili le parole di Gesù lungo tutta la storia della Chiesa e dell’umanità. Le lingue e le culture non saranno più un ostacolo o una barriera invalicabile, perché lo Spirito renderà la parola degli apostoli comprensibile a tutti gli uomini.
Possiamo dire che Luca nel racconto della Pentecoste nel libro degli Atti degli apostoli ascoltato oggi nella prima lettura e Giovanni nel suo Vangelo ci trasmettono lo stesso messaggio di Gesù. Se vogliamo notare una differenza, nel racconto degli Atti è privilegiato l’orizzonte spaziale (“fino ai confini della terra” At 1,8) mentre l’orizzonte del quarto Vangelo è temporale e si stende sul futuro, abbracciando quelli che nel corso della storia crederanno. Così si esprime il Signore Gesù, nella preghiera innalzata al Padre prima della sua passione e morte in croce: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,20-21).
Gesù prega per l’unità dei discepoli presenti e futuri, «perché il mondo creda che tu mi hai mandato». Questo è il primo e irrinunciabile segno che i credenti sono chiamati a dare al mondo e soprattutto per questo Gesù effonderà il suo Spirito su di loro. L’unità per la quale Gesù prega non è possibile agli uomini con le loro sole forze, ma è il “frutto dello Spirito” che – come scrive S. Paolo nella lettera ai Galati – è “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).
Possiamo ora riprendere il tema della testimonianza, alla quale abbiamo già accennato nel giorno dell’Ascensione, come mandato fondamentale del Risorto e reso possibile dal dono dello Spirito. Da quanto detto sopra non si tratta di una testimonianza generica e neanche soltanto di un discorso da ripetere come portatore di contenuti di verità da credere. La prima e fondamentale testimonianza è la vita personale e comunitaria dei cristiani, è l’amore reciproco non a parole ma con i fatti, come si esprime san Giovanni nella sua prima lettera.
Solo l’amore è convincente, come già si esprimeva Tertulliano nel secondo secolo dell’era cristiana riportando un’espressione dei pagani nei riguardi dei cristiani (“vedete come si amano”) e che suscitava in loro un interrogativo serio. La nostra vita di cristiani oggi suscita ancora degli interrogativi seri nelle persone che incontriamo o la nostra esistenza è insignificante?

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