Commento al Vangelo domenicale
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Sale della terra, luce del mondo

Matteo 5,13-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Parole chiave: V Domenica del Tempo Ordinario (5), don Roberto Gremes (7), Vangelo (419), Commento (93)

Mi ritengo un uomo fortunato. Sono nato in una terra che da secoli e secoli sente riecheggiare nelle sue contrade, nelle sue case e nelle sue chiese la parola del Vangelo e pochi giorni dopo la mia nascita un sacerdote mi ha donato la luce, versando sul mio capo un’acqua che trasforma, che rende discepoli del Signore.
Vi dirò che da qualche tempo affiora nella mia mente un pensiero ricorrente, che assume i toni di una domanda insistente: “Ma sono un buon cristiano?”. Mentre rifletto su questo interrogativo scrutando il mio cuore per trovare una risposta che mi doni pace, comprendo che in questo momento della mia vita ciò che mi preme più di ogni altra cosa è di essere un cristiano coerente. Auguro anche a chi mi sta leggendo un po’ di questa inquietudine, che scuote nell’intimo e ritempra lo spirito.
Domenica scorsa il Signore, iniziando il suo discorso sul monte, delineava la nostra identità di discepoli, chiamandoci beati.
Oggi, approfondendo quell’insegnamento, Gesù ci ricorda che i suoi doni devono essere messi a frutto e ci dice: «Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo...».
Essere sale. Il primo obiettivo di ogni discepolo è di lasciare un’impronta positiva nell’ambiente in cui opera, rendendo visibile con le proprie scelte di vita ciò che crede e spera. San Paolo nella seconda lettura ci indica la via, quando afferma: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”.
Lo specifico cristiano consiste allora in un rinnovamento interiore, generato dalla conoscenza profonda e coinvolgente del Signore Gesù, che ci rende annunciatori della sua parola, testimoni di quella redenzione che Egli ha portato a compimento con il sacrificio della croce.
Non dare la priorità a Cristo e alla sua croce significherebbe mancare il bersaglio, “perdere il sapore”, e quindi “essere gettato via”, fallire la propria esistenza.
Essere luce. Nel quarto vangelo Gesù dice di sé: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12), se lo siamo anche noi è perché Lui, il Signore, ci illumina. Ne consegue che dal giorno del nostro battesimo risplendiamo di luce riflessa, affinché attraverso di noi il mondo sia raggiunto e trasformato dai bagliori della sua presenza di grazia.
Nel brano evangelico di questa domenica Gesù continua dicendo: «perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Ogni battezzato è quindi chiamato a compiere opere buone, fra cui quelle elencate dal profeta Isaia nella prima lettura: “Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, vestire uno che vedi nudo...”ma non bastano, poiché l’intera esistenza del cristiano deve apparire come un vangelo vivente, in grado di portare sprazzi di luce in questa nostra società così smarrita, povera d’idealità e, di conseguenza, bisognosa di essere rievangelizzata.
I nostri pastori da anni parlano della necessità di una “nuova evangelizzazione”, affidata a ogni membro della Chiesa ma, soprattutto, ai cristiani laici.
Il concilio Vaticano II, ormai più di cinquant’anni fa, ci ha consegnato l’immagine autentica della Comunità cristiana, intesa come popolo di Dio.
In quella primavera dello Spirito la Chiesa apriva le sue porte a tutti i suoi figli, riconsiderando la loro dignità di battezzati e valorizzando la vocazione e la missione di ognuno.
In particolare, i cristiani laici, rimasti fino ad allora sulla soglia di casa, considerati semplici esecutori di ordini superiori, grazie al Concilio finalmente varcavano quella soglia, visitavano quella casa e ne prendevano possesso, consapevoli di far parte di una comunità di uguali grazie all’efficacia del dono battesimale, certi che la pari dignità viene prima di ogni distinzione ministeriale.
Ebbene, io credo che in questo nostro tempo sia più che mai urgente che i nostri laici, consapevoli di essere i protagonisti di un nuovo annuncio cristiano, diventino “il sale della terra e la luce del mondo”.
Tutte le nostre parrocchie hanno i consigli pastorali, essi incarnano le speranze di una Chiesa in uscita che non può più permettersi di essere simile a “una stufa che scalda solo se stessa” (Karl Rahner).
Dio non voglia che qualcuno di noi preti compia la follia di voltarsi indietro e riaccompagni sommessamente i laici a quella soglia che grazie al Concilio sembrava definitivamente varcata.
Una delle proprietà del sale è quella di conservare i cibi oltre che di esaltarne i sapori: solo i cristiani laici grazie alla loro presenza nei vari ambiti del tessuto sociale custodiranno l’identità e la presenza cristiana e rinnoveranno ogni ambiente con la loro testimonianza discreta ma, nel contempo, tanto efficace.

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