Commento al Vangelo domenicale
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Perché non possiamo fare a meno della misericordia

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Perché non possiamo fare a meno della misericordia

Con il testo evangelico di questa domenica termina la lettura del quarto discorso di Gesù nell’opera di Matteo. A introdurre la questione al Maestro è una domanda che Pietro formula e che riguarda le relazioni con gli altri. La narrazione in forma parabolica che segue è presentata come una sorta di spiegazione e motivazione della risposta che Gesù fornisce all’interrogativo del discepolo. Questo brano tratteggia una storia presente solo nel primo Vangelo, in cui Matteo sembra voler far emergere ciò che costituisce il fondamento delle nuove relazioni tra i discepoli e gli appartenenti alla comunità dei credenti in Cristo.
Nei versetti proclamati domenica scorsa è stata affermata la necessità della pratica della correzione fraterna e della ricerca dell’unità sintonica tra coloro che sono fratelli e sorelle nella fede. Ora Pietro solleva una questione importante inerente al perdono, ponendo la domanda in modo tale da ipotizzare una possibile risposta. Nel momento in cui il discepolo chiede se è necessario perdonare fino a sette volte, infatti, suggerisce un numero che va ben oltre a ciò che era previsto dalla tradizione giudaica nella quale il perdono era dovuto fino a tre volte. A tale interrogativo Gesù risponde in maniera perentoria utilizzando l’espressione fino a settanta volte sette: così mentre Pietro fa del perdono una questione di quantità, il Maestro punta lo sguardo sulla qualità di esso. Gesù, infatti, propone un perdono senza misura, incondizionato e per farlo ricorre ad una citazione della vicenda di Lamech, figlio di Caino, che pone una legge di vendetta illimitata fino a settanta volte sette (Gen 4,23-24). Nelle parole del Nazareno, però, la stessa espressione viene utilizzata per veicolare la necessità di un perdono senza limiti.
Di fronte ad una risposta di questo tono ciascun ascoltatore, consapevole dell’impegno e della fatica che il gesto del perdono richiede, può restare esterrefatto e trovare spontaneo interrogarsi se questa non sia una richiesta eccessiva per l’uomo; se l’uomo possa essere effettivamente in grado di offrire perdono autentico. Perdonare non significa dimenticare e tanto meno far finta di nulla mettendo una pietra sopra a quanto accaduto. Per perdonare è necessario tenere ben a mente il torto subito o la ferita ricevuta, senza permettere a tale male di avere il sopravvento, lasciandosi quindi guidare dalla volontà di andare oltre.
Le parole di Gesù sono così perentorie che Egli ravvede l’opportunità di spiegarle correttamente attraverso il ricorso alla parabola del re misericordioso e del servo spietato. La narrazione è articolata per mettere in evidenzia il contrasto sostanziale tra il modo di agire dei due protagonisti principali e in merito al perdono illustra molto efficacemente il passaggio dalla dimensione quantitativa, suggerita da Pietro, a quella qualitativa esposta da Gesù. Nella parabola la distanza che intercorre tra re e servo emerge anche rispetto alla sproporzione tra i debiti che devono essere saldati ad entrambi: il re, infatti, inizialmente condona un debito che, nonostante il servitore implori una proroga e si impegni a rifondere il dovuto, in realtà è impossibile da estinguere. Diecimila talenti è una somma spropositata: lo storico Giuseppe Flavio attesta che un talento attico corrisponde a una unità di peso e monetaria pari a 36 kg di argento. Il secondo debito, invece, corrisponde all’equivalente di tre mesi di lavoro ed è perciò di tutt’altro calibro.
Il fulcro della parabola ruota attorno al rapporto che i protagonisti hanno nei confronti di coloro che sono loro debitori. Il re, di fronte alla disperazione del suo servo, è mosso visceralmente a compassione, esprime la sua misericordia condonando il debito enorme che gli spettava e rinuncia a perseguirlo secondo giustizia. Il servo perdonato, invece, si mostra inflessibile nel desiderio di riscuotere quanto gli spetta e, nonostante quanto vissuto sulla sua pelle, fa incarcerare il suo debitore. Comportandosi in tale maniera il servo determina l’ira del re e si ritrova nella stessa condizione in cui ha costretto il suo debitore.
Le parole di Gesù intendono svelare che il fondamento di ogni gesto di perdono sta nel riconoscere di essere già stati perdonati in precedenza da Dio. E una volta vissuta l’esperienza di una misericordia quasi insperata, ciascuno non può evitare di donare il perdono a fratelli che sono debitori verso di lui. Quindi non si tratta di stabilire quante volte si deve perdonare, bensì di capire ciò che in ultima istanza ci porta a non poter fare a meno di essere misericordiosi. Nessuno merita o meno il perdono di Dio, perché Egli ama e perdona gratuitamente: a ciascuno è chiesto di accogliere questo dono e di diffonderlo agli altri.

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