Commento al Vangelo domenicale
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La fede nel Risorto nasce da amore e cammino

Giovanni 20,1-9

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

La fede nel Risorto nasce da amore e cammino

Mentre nella Veglia Pasquale viene letto il racconto della resurrezione secondo Matteo (Mt 28,1-10), nella celebrazione della domenica di Pasqua si proclama l’inizio del capitolo 20 del Vangelo secondo Giovanni, probabilmente uno degli ultimi testi evangelici della resurrezione di Gesù ad essere scritti.  
L’autore del quarto Vangelo scrive per i cristiani di terza generazione e nella stesura della narrazione non pare manifestare l’intenzione di offrire una descrizione puntuale e dettagliata degli accadimenti. Egli si pone piuttosto l’obiettivo di mostrare il processo che si è messo in atto tra i presenti agli eventi descritti e che li ha condotti a credere. La domanda che accompagna l’evangelista Giovanni nella scrittura di questi fatti è la seguente: come è possibile accedere all’evento pasquale per quanti non erano presenti? Da ciò si intuisce l’insistenza dell’autore ad utilizzare verbi che fanno riferimento al senso della vista: all’inizio egli fa ricorso a termini che indicano il guardare in modo superficiale, successivamente a lemmi che si riferiscono all’osservare in profondità, per giungere ad espressioni che connettono il vedere autentico al credere. Chi oggi non può vedere i fatti narrati deve poter fare la medesima esperienza di coloro che hanno visto e per fare ciò è fondamentale che si basi sulla testimonianza di coloro che hanno guardato il sepolcro aperto e vuoto e hanno fatto esperienza dell’apparizione del Risorto. Quel Gesù – che ha sconfitto la morte e non è più accessibile alla vista – è Colui che rimane sperimentabile per ogni uomo attraverso la comunità dei credenti e la Parola annunciata.
Giovanni, tuttavia, intende evidenziare al contempo che anche coloro che erano presenti hanno dovuto attivare un processo interno e personale per passare dalla vista alla fede e tale esperienza è ciò che accomuna discepoli e lettori. L’obiettivo finale che l’evangelista si pone è espresso alla fine di questo ventesimo capitolo: “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29). L’importante è credere al di là di quanto si vede in superficie, è andare in profondità e imparare a penetrare gli accadimenti nel profondo, arrivando ad attribuire loro un senso e un significato: queste sono capacità che solo l’accesso alla fede pasquale può attivare.
La scena si svolge – per dirla letteralmente – nel “giorno uno” della settimana. Questa indicazione temporale intende destare l’attenzione del lettore allo scopo di evidenziare che, sebbene sia il giorno successivo alla grande festa della Pasqua ebraica, si tratta di un momento particolare, che allude al primo giorno della creazione: è il giorno che inaugura un tempo nuovo che inizia a palesarsi. Maria di Magdala si reca al sepolcro senza un apparente motivo poiché, diversamente da quanto descritto nei testi sinottici, nel testo giovanneo l’unzione del corpo di Gesù risulta già avvenuta. Lo smarrimento di questa donna pare accordarsi con l’ambiente esterno ancora buio: la paura e la confusione che hanno scatenato gli eventi della passione e morte di Gesù sembrano impedire di vedere con chiarezza anche quanto sta fuori.
Dopo aver scorto la pietra del sepolcro rotolata, Maria corre trafelata dai discepoli e ciò che riferisce loro, ossia l’ipotesi di un trafugamento del cadavere del Maestro, attesta nitidamente la sua non comprensione dei fatti, l’oscurità in cui si trova. È interessante notare come la condizione di mancanza di luce non costituisce però un ostacolo sufficiente per Maria come anche per Pietro e il discepolo amato: essi non stanno fermi, si muovono e vanno nel luogo in cui pensano di poter vedere l’opera di Dio.
La descrizione dei tempi diversi in cui i discepoli raggiungono il sepolcro e vi entrano è funzionale ad evidenziare il progresso che avviene e che vedrà il suo apice nell’attestazione di fede da parte del discepolo amato, sebbene poi si dica che non avevano ancora compreso la Scrittura. Di nuovo l’evangelista Giovanni sembra voler mostrare che la fatica del credere che il lettore compie oggi ha lo stesso sapore ed è affine alla fatica che hanno compiuto i testimoni oculari. La fede, per l’autore del quarto Vangelo, ha sempre una dinamica processuale che porta ad un progressivo percorso, non è una conquista definitiva compiuta una volta per tutte.
Che questa Pasqua ci porti a comprendere che credere in Gesù Risorto non è un privilegio concesso a pochi, ma una possibilità che, grazie alla Scrittura e alla testimonianza dei Vangeli, è per tutti, ciascuno con il suo tempo.

Dipinto: Tiziano Vecellio, Polittico Averoldi (1520-1522) Cristo risorto, Brescia, Chiesa dei Santi Nazaro e Celso

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