L’inizio di un tempo nuovo inaugurato da Gesù
Marco 1,7-11
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
La liturgia di questa domenica è dedicata al Battesimo del Signore. Il racconto del battesimo nella versione di Marco presenta diverse peculiarità rispetto alle narrazioni del medesimo episodio fatte da Matteo e da Luca. Il primo e forse più immediato aspetto di originalità del testo marciano è la sua essenzialità: a differenza degli altri due sinottici, l’autore del secondo vangelo offre una descrizione scarna dell’evento in questione, non si dilunga in dialoghi o dissertazioni e lascia che a parlare siano le affermazioni di Giovanni e la voce che proviene dal cielo.
Nel testo proposto dalla liturgia domenicale compare per la prima volta il protagonista assoluto del Vangelo: Gesù, Messia. Egli è stato annunciato in precedenza da Giovanni, che lo ha presentato come il più forte, Colui che è talmente grande da far ritenere al Battista di essere indegno di potergli slegare i lacci dei sandali. Tutto ciò che in precedenza Marco ha scritto rispetto al cugino del Nazareno permette al lettore di cogliere immediatamente come il rapporto che intercorre tra i due sia fortemente asimmetrico e costituisca la chiave di comprensione corretta per approcciare l’intera opera marciana.
Recandosi nel luogo in cui Giovanni battezzava, Gesù si unisce alla folla, non si fa riconoscere da nessuno, non parla con alcuno. Nonostante ciò, la narrazione del secondo evangelista evidenzia alcuni contrasti importanti che intercorrono tra Cristo e gli altri convenuti in attesa di ricevere il battesimo di conversione. Alla folla proveniente da Gerusalemme e dalla Giudea che si reca in riva al Giordano, Marco contrappone la presenza di un uomo originario della Galilea; quel personaggio “più forte” annunciato da Giovanni si palesa come un uomo sconosciuto, in coda come tutti, tra i tanti; colui che viene descritto come battezzatore in Spirito Santo appare sulla scena per la prima volta mentre attende il battesimo da un altro. Ciò che permette di affermare chi è veramente il Figlio dell’uomo è la teofania che segue le parole e il rito del Battista.
Lo squarcio nel cielo, la discesa dello Spirito e la voce di Dio sono, però, riportati come rivelazioni note solo al Nazareno mentre i presenti, e con loro lo stesso Giovanni, restano all’oscuro di tutto. Gli unici messi nella condizione di conoscere ogni cosa appaiono Gesù e il lettore il quale, nell’intenzione di Marco, dovrebbe essere in grado di cogliere il senso delle citazioni bibliche che riecheggiano nelle parole pronunciate dalla voce dal cielo. “Tu sei mio figlio” appare come richiamo al Salmo 2 (Sal 2,7) utilizzato per la consacrazione dei re, mentre il riferimento al figlio amato ricorda la vicenda di Isacco e il suo sacrificio (Gen 22,2.12.16), infine la parte relativa al compiacimento è da collegare al testo di Is 42,1 che recita: “Ecco il mio servo, che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio”. Questi tre rimandi pongono l’azione di Gesù in piena e perfetta continuità con la storia della salvezza; essi sono tratti dalle tre parti che compongono la Bibbia ebraica: Legge (Genesi), Profeti (Isaia) e Scritti (libro dei Salmi). Così facendo Marco attesta la continua fedeltà di Dio all’uomo e l’inizio di un tempo nuovo inaugurato da Gesù.
La narrazione dell’evento del battesimo del Signore può essere compresa in maniera più efficace rintracciando alcune attinenze tra questo testo e la parte finale del capitolo quindicesimo che descrive gli ultimi istanti di vita di Cristo (Mc 15,34-37.38-40). L’opera di Marco, infatti, può essere considerata come una sorta di ponte che collega quanto avvenuto presso il Giordano agli eventi tragici del Golgota. Le corrispondenze, anche a livello lessicale, sono molteplici. Allo squarcio del cielo descritto in Mc 1,10 in occasione del battesimo, corrisponde lo squarcio del velo del Tempio riportato in Mc 15,38. Marco sceglie di utilizzare il termine squarcio per indicare una realtà che non può essere riparata o richiusa, che non può tornare come prima: siamo davanti ad un nuovo inizio che sancisce ancora di più la presenza “del cielo sulla terra”, tra gli uomini. Alla lacerazione fa seguito il dono dello Spirito: in riva al Giordano il Nazareno vede lo Spirito scendere come una colomba, mentre nella descrizione del momento della morte di Gesù si dice che spirò, utilizzando un verbo che allude fortemente allo Spirito. Infine, Colui che nel primo capitolo dalla voce divina viene identificato come il Figlio amato, al termine del capitolo quindicesimo viene riconosciuto come Figlio di Dio da un uomo, il centurione. Questi richiami fanno sì che la consacrazione di Gesù, iniziata presso il Giordano, trovi il suo compimento sul Golgota.
Se, però, si ricorda che tutti gli elementi della teofania sono accessibili nella loro interezza unicamente al lettore, è facile comprendere che tipo di sforzo e impegno sono a lui richiesti da parte dell’evangelista. Chi legge il testo di Marco è l’unico che può avere da subito una idea precisa e accurata dell’identità del Cristo annunciato e quindi è colui che può mettersi alla sua sequela. Questo è ciò che è chiesto a ciascuno: buon cammino!
Dipinto: Giotto, Battesimo di Cristo (1303-05), affresco, Padova, Cappella degli Scrovegni
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