Commento al Vangelo domenicale
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Battezzato nel giardino con gli uomini peccatori

Marco 1,7-11

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Parole chiave: Vangelo (415), Parola (13), Don Adelino Campedelli (78)
Battezzato nel giardino con gli uomini peccatori

Le celebrazioni del tempo natalizio terminano con la festa del battesimo del Signore; la cosa potrebbe a prima vista sembrare strana: il Natale attira la nostra attenzione sulla nascita di Gesù e l’Epifania sulla manifestazione ai Magi, quindi incontri con Gesù “bambino”, ma se prendiamo l’antifona ai secondi Vespri del giorno dell’Epifania, scopriamo il legame profondo che la Chiesa ha sempre riconosciuto tra le manifestazioni-epifanie del Signore. Dice infatti l’antifona: “Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza”. Il bambino nato a Betlemme è il Salvatore che si manifesta alle genti pagane, i magi; ai discepoli a Cana di Galilea e al Battista e al suo popolo al Giordano.
Il Vangelo di oggi inoltre segna una specie di circuito dal Giordano al Giordano: già abbiamo incontrato in questo Avvento Giovanni il Battista sulle rive del fiume che annuncia la venuta di uno che avrebbe battezzato in Spirito Santo e fuoco e ora egli battezza nel Giordano proprio colui che aveva annunziato. Contrariamente a Matteo e Luca, l’evangelista Marco non teme di aprire il proprio Vangelo ponendo Gesù tra la folla accorsa dal Battista perché cosciente del proprio peccato. In un Vangelo segnato fin dall’inizio dalla realtà della croce (vedi Mc 3,6), l’immersione nel Giordano è interpretata come segno della comunione del Cristo con una umanità bisognosa di salvezza, come lo svuotarsi del Figlio di Dio in un cammino di “discesa”, di spogliazione, che culminerà sul Calvario (Fil 2,6- 11). L’immersione nel Giordano segna dunque per Marco il primo passo nel cammino di totale incarnazione, che avrà il suo culmine nella morte in croce: dolore e morte renderanno il Figlio di Dio totalmente figlio dell’uomo. Il brano evangelico di oggi non si limita però solo a riportare il gesto di totale solidarietà di Gesù con l’umanità peccatrice, ma riportando anche la successiva “teofania” (manifestazione divina) rivela l’identità dello sconosciuto che era in mezzo al suo popolo e realizza l’“epifania” di Cristo a se stesso e al suo popolo. E l’esperienza della totale comunione con un popolo bisognoso di salvezza crea l’ambiente in cui il Padre si rende manifesto nella vita di Gesù attraverso tre segni: l’apertura dei cieli, la discesa dello Spirito e la voce dal cielo.
L’apertura dei cieli o, come più precisamente si esprime l’evangelista Marco, lo “squarciarsi” dei cieli da una parte segna la risposta al grido del popolo che abbiamo ascoltato all’inizio dell’Avvento: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19) (vedi prima lettura della prima domenica di Avvento), dall’altra conferma che nel Figlio i cieli si aprono in modo definitivo e Dio riprende a parlare al suo popolo attraverso colui che è la Parola fatta carne; lo stesso verbo tornerà alla fine del Vangelo, come unico segno dopo la morte di Gesù: “Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo” (Mc 15,38).
La discesa dello Spirito sottolinea come ogni persona scelta da Dio è “unta”, consacrata dallo Spirito; ora su Gesù, l’ultimo e definitivo inviato (vedi Eb 1,1-2) lo Spirito si posa e rimane in maniera permanente, perché egli è il consacrato del Padre, la sua presenza nella storia. L’umanità di Cristo diventa il luogo dove è possibile incontrare il volto di Dio, quel volto tante volte invocato, desiderato, implorato nelle preghiere dei Salmi. Alla visione segue la Parola, la “voce” che proclama l’identità di Gesù e la sua “vocazione fondamentale”: egli è il Figlio, colui che è generato dall’amore stesso del Padre, l’amato, colui nel quale il Padre trova la sua gioia e da questa vocazione originale scaturisce la missione di Gesù: comunicare la paternità del Padre, inserire l’umanità nel rapporto d’amore che è alla radice dell’esistenza di ognuno.
Questa festa collocata nel tempo natalizio, ci fa comprendere che il presepio è solo un passaggio, una rappresentazione che ci ha messo di fronte all’inizio di tutto: Dio si fa uomo. Ma fermarsi lì vorrebbe dire perdere ciò che conta veramente: incontrare oggi il Salvatore, accogliere la sua Parola, ricevere la sua grazia nei santi sacramenti, riconoscerlo nei poveri che incontriamo.
Tocca a noi, ora, fare come i pastori e come i Magi, metterci in cammino, volgere lo sguardo attorno per cercare i “segni” della presenza del Risorto, decidere di dare credito alla sua Parola che ci ha raggiunto. È l’avventura della fede, è l’esperienza della gioia e della pace autentiche, cantate a Natale. 

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