Commento al Vangelo domenicale
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Il regno di Dio nasce dall’amore

Marco 4,26-34

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Parole chiave: Vangelo della domenica (295)

Marco ci presenta oggi, nelle due parabole riportate nel quarto capitolo, la figura di Gesù che parla alla folla, e quindi a ciascuno di noi, per spiegare la grandezza e la bellezza del regno di Dio. Le sue parole offrono un senso di pace e naturalezza che aprono il cuore e la mente all’orizzonte della gioia e della serenità: il regno di Dio non è determinato da forza umana, ma nasce dall’amore smisurato ed è inarrestabile. Marco ci rassicura: “Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce”. Queste parole ci incoraggiano nel cammino di fede, perché ci dicono che una volta seminato nel cuore dell’uomo, il regno di Dio cresce da sé; non dipende dai nostri meriti, ma cresce perché ha un dinamismo in sé, che non può essere modificato. La Parola di oggi ci porta a guardare avanti con speranza, nella consapevolezza che, nonostante tutto ciò che circonda il nostro quotidiano, guerre, violenze, ingiustizie, massacri, indifferenza, superficialità, egoismo…, nulla può fermare il seme gettato da Gesù Cristo, perché questo “germoglia e cresce”. Mi vengono anche alla mente tante situazioni di genitori in ansia perché i propri figli non seguono le loro tracce e sembrano aver abbandonato un percorso di fede. Le parole del Vangelo ci vengono in aiuto offrendoci la certezza che una volta seminato, il seme cresce: “Come, egli stesso non lo sa”. È un percorso progressivo che porta in un tempo che non può essere controllato dall’uomo, ad una maturazione piena, “al chicco pieno nella spiga”. Il compito di un genitore è quello di seminare a tempo debito, di lavorare nel campo dell’amore affinché i propri figli possano sperimentare la tenerezza di Dio per ogni sua creatura, di testimoniare con coerenza il proprio essere figli di Dio e l’amore per i fratelli. Una vita coerente, vissuta giorno per giorno, nella preghiera e nella carità, è quel seme gettato dall’uomo chiesto ad ogni genitore che ha cura della vita dei propri figli. Poi non resta altro che vigilare sul seme gettato, dimorare nella pace e avere fiducia nella crescita e nella maturazione di questo seme, che un giorno diventerà spiga e sarà mietuto per portare altro frutto. È importante cogliere il fatto che il granello di senape è gettato nel terreno, richiamandoci l’universalità che esclude il successo personale, ma guarda al bene di tutti. Inoltre Gesù, come è scritto, si preoccupa che ciò che Egli dice sia compreso e interiorizzato, superando la fatica di cambiare mentalità, anche da parte dei suoi discepoli.
Il tempo è un fattore che condiziona sempre la vita umana. Le due parabole del Vangelo, quella del seme che cresce da solo e del granello di senape, entrambe figura del Regno di Dio, ci invitano a riflettere sulla dimensione temporale del Regno di Dio a partire dalle cose di ogni giorno, mettendo in risalto il contrasto tra l’ignoto del domani che nessuno di noi può determinare, e il bisogno di controllo efficiente legato all’agire odierno, in una società che brucia il tempo, perché sempre protesa verso il miglior utilizzo dello stesso. E in questa dimensione ci troviamo spesso nell’angoscia, perché il tempo sfugge, perché il tempo utilizzato per la carriera, di fatto, ha creato intorno a noi un vuoto incolmabile, che ha fruttato ricchezza materiale e povertà affettiva. La speranza invece nasce dove l’uomo e la comunità sono capaci di riappropriarsi della semplicità e di apprezzare la piccolezza, nella consapevolezza che la risurrezione passa per il granello di senapa, per le strade dei poveri della terra, dei misericordiosi. Terminata la seminagione, il contadino attende pazientemente e, senza troppe preoccupazioni, il tempo del raccolto. Sa bene, infatti, che la terra spontaneamente porta i suoi frutti. Verrà quindi il tempo della mietitura, e allora potrà ammassare il raccolto nei suoi granai. Un contadino poco avveduto che aprisse continuamente la terra per controllare se il seme germoglia, lo ucciderebbe. Così è l’agitazione di chi vuole vedere il risultato subito, di chi si realizza unicamente sulle capacità umane e sulla forza dei potenti. Il Regno di Dio ci porta, al contrario, ad assumere un atteggiamento di affidamento, nella certezza che la vita cresce e si alimenta nel tempo, e che in questo il Signore opera e porta conforto. Solo così il piccolo seme diviene albero che “diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. Il valore di una vita vissuta con fede è frutto del tempo e non dell’efficienza, perché “la vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 181).

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