Commento al Vangelo domenicale
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Grazie alla premura di Maria la festa prosegue nella gioia

Giovanni 2,1-11

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Parole chiave: Vangelo (424)
Grazie alla premura di Maria la festa prosegue nella gioia

Per la seconda domenica del tempo ordinario la liturgia propone la lettura dell’episodio delle nozze di Cana, un racconto di cui i sinottici non fanno alcuna menzione e che è presente al capitolo secondo del vangelo di Giovanni.
L’autore in questo brano descrive il compimento del primo segno da parte di Gesù, come si evince dal commento conclusivo (Gv 2,11), alternando parti narrative con altre dialogiche nelle quali il protagonista è sempre il Nazareno. Sebbene il testo presenti una indiscussa coerenza stilistica, esso contiene in sé alcuni elementi non perfettamente armonizzati: solo a titolo esemplificativo si pensi alla dovizia di particolari con cui sono descritte le giare di pietra e all’esiguità di dettagli che mettono a conoscenza dell’effettiva trasformazione dell’acqua in vino; oppure al rapporto che intercorre tra Gesù e sua madre, in cui il figlio riprende con un certo distacco colei che lo ha messo al mondo, e quello tra la donna e i servitori in cui la prima impartisce ordini al personale, che accetta di buon grado e compie quanto gli viene richiesto successivamente senza informare il capo del banchetto.
Il brano è da leggere in prospettiva cristologica, come il primo segno compiuto da Gesù per manifestare la sua identità e permettere la progressione della fede nel gruppo dei discepoli. Giovanni scegliendo di definire quanto accaduto come segno, intende indicare che attraverso tale gesto il figlio di Maria può essere riconosciuto come il Messia, l’inviato da Dio a favore del popolo.
La situazione descritta dall’evangelista è conviviale e gioiosa come può esserlo un banchetto di matrimonio in cui parenti e amici festeggiano l’amore e una nuova unione. Già in ambito anticotestamentario le nozze rappresentano l’immagine dell’alleanza tra Dio e l’uomo; in questo contesto tale dimensione simbolica si amplia per indicare come nella persona del Nazareno avviene l’incontro tra il Padre e l’umanità, in cui realtà divina e terrena stabiliscono una relazione permanente.
Durante il banchetto, tra le chiacchiere e il trambusto che possiamo ipotizzare fossero presenti, Maria, quasi fosse la responsabile della tavola, si accorge che manca il vino. Tale bevanda nella Scrittura rimanda alla promessa di Dio, al dono della gioia fatto al popolo, al clima di amore che unisce lo sposo e la sposa del Cantico dei Cantici. Non ci possono essere celebrazioni nuziali senza vino, per questo la madre del Maestro interviene.
Tutto ciò che viene descritto successivamente parte dalla percezione di una assenza e dalla premura di una donna nel segnalare tale situazione: Maria vede e si accorge che manca qualcosa perché la festa sia piena, perfetta. Tutto ciò fa riflettere: chi è, infatti, colui che può affermare di non avere la sensazione che nella propria esistenza manchi qualcosa? Quanti possono dire di non desiderare nulla oltre a ciò che hanno? E ancora, quanti sono coloro che di fronte all’assenza di ciò di cui sentono la necessità o il desiderio, invece di lasciarsi andare alla rabbia o al lamento, si industriano per cambiare la loro situazione, rivolgendosi all’unico che può tutto? La madre di Gesù, una volta notata la mancanza di vino avrebbe potuto stare in silenzio, in attesa che ciò fosse percepito dal maestro di tavola. Invece, pur non essendo una sua incombenza, ha preso l’iniziativa di avvisare suo figlio, il quale decide di intervenire solo quando sente che la sua ora è effettivamente arrivata. Poco dopo l’acqua delle giare viene trasformata in vino e la festa può proseguire; il vino nuovo è molto buono e suscita la lode da parte del maestro di tavola che ne ignora la provenienza.
Così come in precedenza nessuno, ad eccezione di Maria, aveva notato lo scarseggiare del vino, al termine della narrazione nessuno si accorge che tale assenza è stata colmata. I servi sanno da dove viene la bevanda nuova ma non si dice nulla circa la loro comprensione dell’accaduto.
L’attenzione vigile e costante di Maria ricorda quella di molte madri e padri che osservano un po’ da lontano e operano incessantemente dietro le quinte per la gioia dei figli. Il brano del segno delle nozze di Cana possa, dunque, spronare ciascuno a sentirsi chiamato ad essere solerte nei confronti delle necessità della comunità dei fratelli.

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