Dio è Padre nostro e noi siamo tutti fratelli
XVII domenica del Tempo Ordinario
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
Nel brano di Vangelo che è proclamato in questa domenica possiamo distinguere tre sezioni: la prima con la richiesta di un discepolo a Gesù di essere ammaestrato a pregare e il dono del Padre nostro; la seconda con la parabola dell’amico importuno che chiede dei pani e infine la terza con alcuni insegnamenti di Gesù sulla preghiera. Già inviando il folto gruppo dei discepoli in missione li aveva invitati a pregare: «Pregate, affinché il padrone della messe mandi operai nella sua messe» (Lc 10,2). È chiaro che Gesù vuole che il suo discepolo sia “uomo di preghiera”: una persona che è inviata a evangelizzare, sa anche tendere le mani al cielo.
È da notare, inoltre, come il termine di paragone fondamentale per un discorso sulla preghiera cristiana sia la preghiera stessa di Gesù: è da essa infatti che scaturisce la preghiera del cristiano. L’inizio del brano di oggi rende evidenti tre dati. Il primo è il precedente del Battista, del quale evidentemente era noto l’insegnamento di un modo specifico di pregare per i suoi discepoli. Il secondo è che Gesù pregava e quella in questo capitolo è la settima volta che Luca presenta Gesù mentre prega e ciò basta già a fare di Lui un maestro di preghiera, prima con il suo esempio e ora con la sua parola. Il terzo dato è che sono i discepoli che chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare: è evidente che si erano accorti che aveva un suo modo particolare di mettersi in relazione con Dio.
Alla richiesta di un discepolo Gesù risponde consegnando il Padre nostro. La versione di Luca è alquanto diversa, più elementare e grezza rispetto a quella di Matteo, che noi conosciamo bene perché è la nostra preghiera abituale del Padre nostro ed è più elaborata. Per questo motivo gli esperti ritengono che la versione di Luca sia più vicina alla forma originaria insegnata da Gesù. Notiamo, inoltre, che la preghiera insegnata da Gesù non è una novità assoluta; essa, infatti, ha delle parentele strette con quella usata dagli ebrei nella sinagoga (il cosiddetto Qaddish e le Diciotto benedizioni). Il tema della paternità di Dio era già noto nell’Antico Testamento, basta citare lo stupendo tratto di Os 11,1-4, dove la paternità è presentata con tanta efficacia e tenerezza.
Una sottolineatura particolare va data alla parola “iniziale” Padre, la cui origine va rintracciata nella parola della lingua parlata da Gesù (l’aramaico) “Abbah” che denota l’audacia di Gesù nell’usare questo termine per Dio, dal momento che apparteneva al linguaggio familiare. Nell’uso che Egli fa di questo termine, sono inseparabilmente legate autorità e tenerezza.
La parabola dell’amico importuno che segue immediatamente il dono del Padre nostro, con il chiaro riferimento alla domanda “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”, sembra quasi il primo commento alla preghiera insegnata da Gesù. Noi sappiamo come in Oriente l’ospitalità fosse sacra: non si poteva rifiutare vitto e alloggio a chi ne aveva necessità, soprattutto se si trattava di un amico. L’orario di arrivo dell’ospite (la mezzanotte) è alquanto inconsueto ma indica chiaramente lo stato di necessità. Colui al quale è rivolta la richiesta non è in grado di esaudirla e per questo entra in scena un altro amico cui il richiesto di ospitalità si rivolge.
La struttura dell’abitazione palestinese del tempo, un solo locale per la notte per tutta la famiglia, e l’impossibilità di accogliere la domanda senza creare scompiglio nella famiglia, sembrano giustificare un’impossibilità a esaudire la richiesta dei pani per l’ospite notturno. La tenacia dell’amico importuno trascina l’amico disturbato nella notte ad esaudire la richiesta, anche se per forza e non per amicizia. Il messaggio che ci trasmette la parabola è che non ci sono tempi importuni per rivolgersi a Dio: ogni richiesta può essergli rivolta in ogni momento; Dio è disturbabile sempre, anche nei tempi meno opportuni.
La terza parte del brano odierno inizia con tre coppie di verbi collocati in modo particolare: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto» e cioè un modo in cui l’autore dell’azione (vi sarà dato, vi sarà fatto trovare, vi sarà aperto) è nascosto nel verbo usato al passivo, e cioè Dio; questo è un modo tipico del linguaggio biblico per evitare di usare il nome santissimo di Dio. Le domande sono dunque rivolte a Dio, la ricerca si orienta verso di Lui, la porta alla quale bussare è la sua. L’esempio del bambino che chiede da mangiare e riceve sempre buone cose anche da chi è “cattivo”, fa comprendere che ciò vale a maggior ragione per quanto riguarda Dio, al quale è del tutto estranea la malvagità.
Rileviamo fortemente, infine, come Luca suggerisce che il dono da richiedere è lo Spirito Santo e ciò non è in contrasto con le richieste molto concrete indicate in precedenza. Già nella presentazione del Messia fatta da Gesù nella sinagoga di Nazaret, lo si vede ripieno di Spirito Santo per rispondere a bisogni molto concreti come la povertà, l’oppressione, la cecità. È proprio questo legame profondo tra l’orazione e la richiesta dello Spirito che trasforma radicalmente la preghiera e la rende “cristiana”.
A questo punto si aprirebbero infinite domande e considerazioni sulla preghiera del cristiano. Vorrei solo porre l’accento su qualcuna riguardo al Padre nostro; la prima parte possiamo forse recitarla tranquillamente, ma la seconda parte con l’uso insistente del “noi” possiamo ancora recitarla tranquillamente quando escludiamo qualcuno dalla nostra attenzione? Possiamo dire “Padre nostro” senza dire di ogni donna e di ogni uomo: “mio fratello”? Non è una bestemmia dire Padre e rifiutare qualcuno dei suoi figli?
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