Disperso nello spazio: un ever green

Raccontano le recenti cronache scientifiche che su Marte ci sia acqua, forse salata. Potrebbe essere la premessa per la scoperta di forme di vita su un altro pianeta. Saranno ovviamente i prossimi decenni o secoli a dirci se il “pianeta rosso” potrà accogliere i nostri lontani pronipoti.
Nell’attesa, che sarà lunga, possiamo tornare ancora una volta su un pianeta assai visitato cinematograficamente, con l’ultima opera di Ridley Scott, che della fantascienza è un frequentatore ormai navigato e sicuro. In questo caso la sceneggiatura di Drew Goddard si aggancia ad un luogo narrativo classico: c’è un disperso e c’è una missione per recuperarlo e salvarlo.
Il protagonista della situazione è l’astronauta Mark Watney (Matt Damon), che faceva parte dell’equipaggio della missione Ares 3, costretto a ritornare sulla Terra per una violentissima tempesta di sabbia scatenatasi su Marte. Watney, separatosi accidentalmente dal resto della squadra durante le operazioni di rientro e creduto morto, è invece sopravvissuto e riuscirà, dopo vari tentativi falliti, a mettersi in comunicazione col pianeta di origine. Ci vogliono quattro anni per raggiungere Marte dalla Terra, e nel frattempo il naufrago solitario deve trovare il modo di sopravvivere, in un pianeta nel quale non si può coltivare nulla e non c’è alcuna forma di vita che possa garantire anche un minimo sostentamento.
Il modello di partenza, in tutte queste storie, è sempre l’immortale Robinson Crusoe di Daniel DeFoe. Qui non ci sarà alcun Venerdì marziano a far compagnia al malcapitato, ma le risorse di inventiva e di coraggio non gli mancheranno, fino alla soluzione della vicenda.
Un po’ Apollo 13, un po’ 2002: la seconda odissea (regia di quel Douglas Trumbull che aveva curato i magnifici effetti speciali del capolavoro assoluto di Stanley Kubrick) e molti altri riferimenti sia cinematografici che letterari, fanno di The Martian un bell’esempio di solida costruzione drammaturgica, forse senza slanci di grande originalità, ma certamente con la capacità di reggere il ritmo di un racconto che si snoda per quasi due ore e trenta.
Matt Damon, che deve recitare per gran parte del film in solitaria (e il cui personaggio assomiglia alla versione buona di quello che aveva interpretato pochi mesi in Interstellar di Christopher Nolan), dà ancora una volta ottima prova delle sue doti recitative. Tutto il resto del cast è all’altezza di un’ottima occasione di intrattenimento.