Sono 100 anni di pane per il forno Bodini alle porte di Forette
di ANDREA ACCORDINI
Impresa familiare che ha attraversato un secolo di storia
di ANDREA ACCORDINI
Impasto, lievitazione, cottura e vendita. Così, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Fino ad arrivare a cento. È la storia della famiglia Bodini, che da un secolo esatto sforna pane a Castel d’Azzano. Un mestiere tanto antico quanto indispensabile, quello del fornaio, che qui è stato tramandato di padre in figlio per quattro generazioni. Ma non si tratta semplicemente di un’appassionante storia d’impresa, perché il Panificio Bodini ha contribuito nel corso dei decenni anche a plasmare la comunità, al pari di tante altre botteghe di paese, che però non hanno retto la concorrenza della grande distribuzione organizzata o semplicemente non sono state in grado di rinnovarsi ed evolvere col passare del tempo.
E il legame tra il panificio e la sua gente si percepisce immediatamente aspettando il proprio turno assieme alla clientela abituale o scorrendo i commenti sulla pagina Facebook dell’attività; perché qui non vendono solo lievitati di ogni tipo, ma in ogni ciabattina e in ogni pagnotta c’è la cura, la dedizione, il rispetto per quel prodotto che più di ogni altro è simbolo di dignità. E c’è soprattutto il lavoro costante, silenzioso e caparbio di chi ogni notte impasta e inforna per far trovare già alle 5 del mattino i primi panini pronti, così anche chi inizia a lavorare presto o chi torna dal turno di notte può avere il pane fresco. «È un lavoro intenso, anche se oggi le nuove tecniche e le lunghe lievitazioni permettono una maggiore organizzazione dei tempi nell’arco della giornata», spiega Pietro Bodini, venticinquenne pronipote del fondatore Giovanni, che dopo la maturità classica all’Istituto Agli Angeli, ha iniziato a lavorare in pianta stabile nell’attività di famiglia. «Non era una scelta scontata – precisa – perché mio padre, ad esempio, voleva che proseguissi negli studi. Poi, durante quell’estate ho iniziato a lavorare quotidianamente al panificio e lì ho deciso di rimanere». Una scelta professionale che diventa scelta di vita, una vocazione. «Ogni mestiere ha le sue difficoltà – osserva Pietro –: fare il fornaio richiede di rinunciare a qualche ora di sonno, ma vedo che al momento riesco a cavarmela».
Al di là degli orari, però, gli ultimi due anni hanno condotto ben altre difficoltà. Nell’autunno 2020, infatti, il Covid si è portato via le due colonne storiche del panificio, i fratelli Remo (nonno di Pietro) e Loris Bodini, a distanza di due settimane l’uno dall’altro. «Hanno passato una vita intera qui dentro, a lavorare fianco a fianco e insieme se ne sono andati», osserva il nipote. Quattro mesi più tardi anche nonna Maria (moglie di Remo) si è spenta, pure lei dopo una vita passata in panificio, ma dietro il bancone, a contatto con il cliente. Il periodo non è stato semplice perché, oltre al dolore della perdita, è venuta a mancare anche la manodopera di chi, nonostante le oltre ottanta e novanta primavere alle spalle, si affaccendava ancora tra farine e lieviti.
Ma proprio dall’esempio degli anziani, dal loro amore per la famiglia e dalla passione per il lavoro è arrivata l’energia per proseguire: «Li sentiamo ancora qui con noi tutti i giorni, quasi fisicamente. Può sembrare strano, ma avvertiamo la loro presenza che ci sprona e ci aiuta ad andare avanti», commenta il venticinquenne. Così, con l’orgoglio di essere parte di una storia familiare fatta di valori semplici e profondi, l’attività dei Bodini è ripresa.
Una storia che è nata tra le due guerre, perché Giovanni Bodini e la moglie Maria Zanolli iniziarono a impastare già nel 1922 in un vecchio edificio di via San Martino, poco distante dall’omonima chiesa. Solo quattro anni più tardi la coppia trasferì la giovane azienda nella sede di via Forette, dove è rimasta sino ad oggi. Era l’alba del Ventennio, ma come ci raccontarono in una vecchia intervista Remo e Loris, i fascisti non presero mai di mira l’attività, sapendola estranea ad ogni corrente politica. Negli anni Trenta e Quaranta ci fu da fare i conti con le grandi ristrettezze economiche e bisognava combattere per trovare le materie prime, compresa la legna per accendere il forno. In quel periodo il capostipite Giovanni accoglieva nella propria casa i nipoti per aiutare le famiglie dei fratelli in difficoltà e i bambini tante volte venivano fatti dormire qualche ora sui sacchi di farina prima di andare a scuola. Una volta cresciuti fu compito di Loris e Remo andare fino in città con il carretto per procurarsi la farina; un viaggio che occupava quasi mezza giornata.
Con l’entrata in guerra arrivarono i razionamenti delle risorse alimentari da parte dello Stato e l’introduzione della tessera annonaria. Ogni cittadino aveva diritto ad una dose di pane giornaliera, i clienti si presentavano con la tessera da cui si staccava il bollino corrispondente a quel giorno. Tutti i bollini dovevano essere conservati e consegnati poi all’autorità fascista per il controllo. Allora nel forno si preparava anche il pan biscotto, che veniva impacchettato per essere spedito ai prigionieri in Germania, con la consapevolezza che probabilmente non ci sarebbe mai arrivato.
Dal Dopoguerra la situazione andò migliorando e, anche per far fronte alla concorrenza, venne gradualmente ampliata la scelta dei prodotti, avviando la produzione di differenti tipi di pane e impasti. Negli anni Sessanta i due fratelli successero al padre alla guida del panificio, per poi passare a loro volta il testimone, qualche decennio più tardi, ai rispettivi figli, rimanendo però perfettamente operativi. Da allora a guidare l’azienda sono Fabio, figlio di Remo e Maria (e quindi papà di Pietro) e i fratelli Alberto e Matteo, figli di Loris e Anita, che a questo punto è l’unica rimasta di quella seconda generazione di panettieri. Assieme a loro ora ci sono in pianta stabile anche due dipendenti, entrati a far parte di questa secolare storia di impresa, di famiglia, di pane.
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