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«Io, su in malga da 75 estati»: storia di Ettore, una vita in Lessinia

di RENZO COCCO

L’89enne malgaro (a Camporetratto) e un lavoro-passione totalizzante

«Io, su in malga da 75 estati»: storia di Ettore, una vita in Lessinia

di RENZO COCCO

La vita di Ettore Giacopuzzi, classe 1935, di professione allevatore, che abita in località Stifa del Comune di Sant’Anna d’Alfaedo è davvero una storia esemplare che merita di essere raccontata. Non solo per il traguardo degli 89 anni che taglierà il prossimo novembre, ma soprattutto perché da 75 anni, senza alcuna interruzione, si trasferisce (da fine maggio a fine settembre) nella malga di Camporetratto, nei pascoli alti della Lessinia per il tradizionale alpeggio.

Di lui ha già parlato Verona fedele una decina di anni fa e il 27 luglio scorso un bel servizio televisivo di Sat2000 lo ha visto protagonista. Siamo tornati a incontrarlo nei giorni scorsi approfittando di un suo breve rientro a casa («ma non vedo l’ora di tornare in malga», dice con nostalgia) per ripercorrere una storia incredibile fatta di tanto lavoro e di duri sacrifici. Il suo è un racconto lucido in cui ricorda con precisione date, nomi, fatti di una normalità che per chi non vive questo mondo diventano evento straordinario.

Racconta che a 15 anni lascia la famiglia e va a lavorare come dipendente prima in una malga in Comune di Ala poi in un’altra sul monte Pastel, Fumane. In questi anni impara alla perfezione il mestiere di malghese o malgaro che dir si voglia (per il dizionario Treccani sono sinonimi) e decide quindi di mettersi in proprio. Inizia in affitto con 5 vacche per salire poi a 25/30 animali. Nel 1981 arriva infine a malga Camporetratto (a 1.563 metri, una delle più belle della Lessinia datata 1802, che comprende anche la casèra e una grande stalla con colonne in pietra su cui poggiano eleganti archi a sesto acuto, gli stessi delle cattedrali gotiche) che si trova in splendida posizione tra il bivio del Pidocchio e malga Lessinia, dove tuttora ogni estate porta al pascolo una quarantina di mucche da latte.

Ma com’era la giornata del giovane Ettore? «Si iniziava alle 3 di mattina ancora in piena notte – dice – per finire alle 20 di sera: la mungitura a mano nel recinto all’aperto portava via parecchie ore, poi la pulitura delle attrezzature, poi lo sfalcio dei prati, poi varie attività». Lui era diventato bravissimo: in 5 minuti mungeva una vacca e questa operazione la ripeteva per 30/35 animali. Le condizioni di lavoro erano dure: non c’era elettricità, né acqua se non quella piovana o, nei casi fortunati, quella del pozzo.

Gli chiedo se in questi tanti anni di lavoro ha fatto giorni di ferie. Mi guarda in modo strano, come dire: ma che domanda mi fa questo qui? «Avere le mucche – mi risponde – significa lavorare tutti i giorni dell’anno, anche nelle feste comandate. Non ci sono pause». Poi confessa che in questi 75 anni di attività ha fatto ben 8 giorni di ferie: una settimana quando ha sposato nel 1971 la signora Emma per il viaggio di nozze a Roma e un giorno in occasione del 50° di matrimonio (Emma, che gli è accanto, sorride comprensiva!).  

All’inizio degli anni Ottanta arriva una vera e propria rivoluzione tecnologica. Grazie all’impegno diretto in azienda di tre dei cinque figli, le stalle vengono meccanizzate a partire dalla mungitura e poi informatizzate. Oggi tutto è governato da un computer che dirige, sovrintende, controlla ogni animale e rileva eventuali anomalie. Si aggiungono poi nuove attività. Grazie alla normativa regionale, viene costituita l’azienda agrituristica che consente non soltanto di produrre formaggi e salumi, ma anche di venderli direttamente al pubblico. Il latte delle stalle di Stifa viene conferito alla cooperativa “Latte Verona”, noto marchio presente nella grande distribuzione veneta e mantovana con prodotti di alta gamma che vanno dal latte, ai derivati, allo yogurt, al formaggio Grana. Quello di malga viene lavorato direttamente nella casera dal figlio Renato, che ha imparato l’arte dal padre. Ogni giorno si producono le forme di formaggio di montagna da latte crudo che vengono stagionate e vendute in loco.

Malga Camporetratto è diventata da qualche anno anche agriturismo, dove è possibile gustare i prodotti della cucina locale (gnochi sbatui, formaggi e salumi di produzione propria). A occuparsi di questo (ma anche di tanto altro) c’è la signora Sara, padovana di nascita, laureata in Scienze della produzione animale, che per amore (è la moglie di uno dei figli di Ettore) ha abbandonato la “città del Santo” per vivere e lavorare in Lessinia. Anche questa è una bella storia che andrebbe raccontata.

Quale il futuro delle alte terre veronesi? Quale futuro aspetta l’allevamento in malga? Ettore (che nell’agosto del 2023 è stato nominato “Bacan de la Lessinia”) è al riguardo pessimista. «Non ci sono più giovani che vogliono fare questo mestiere: troppo duro e con poche soddisfazioni economiche». Parlando con i figli il giudizio si stempera. Indubbiamente ci sono grandi problemi da risolvere. Una vacca in malga produce 10-12 kg. di latte al giorno, quando nelle stalle di pianura la produzione triplica. Bisognerebbe dunque pagare in misura più alta il latte di montagna (che oltretutto ha qualità organolettiche superiori); c’è la necessità di far arrivare nelle malghe la corrente elettrica e ancor di più l’acqua. A questo proposito è partito un impegnativo progetto di Acque Veronesi volto a realizzare 21 km di condutture per portare l’acqua alle malghe dei Comuni di Sant’Anna d’Alfaedo, Erbezzo e Bosco con una spesa di 7,5 milioni di euro. Ciò consentirebbe agli allevatori di praticare l’alpeggio con minori costi di produzione e di affiancare a questa principale attività altre forme di servizi, come l’agriturismo in quota e la vendita di prodotti caseari realizzati sul posto.

Insomma un futuro ci può essere purché si risponda alle giuste richieste degli allevatori di montagna. Gli esperti dicono che la valorizzazione delle alte terre deve necessariamente partire dalla presenza attiva dell’uomo sul territorio e conseguentemente dal sostegno delle attività produttive prima che – come ci ha detto Ettore – «i boschi scendano a mangiarsi i prati». La sua testimonianza di vita può continuare ad essere esempio, fonte di ispirazione e di impegno per i giovani che amano l’agricoltura. Alla domanda finale della giornalista di Sat2000: che cosa ha insegnato ai suoi figli? Ettore ha lapidariamente risposto: «A lavorare!». Poteva esserci risposta diversa da una persona che in quasi 90 anni di vita ha “staccato la spina” per soli 8 giorni?

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