Quando Santa Maria in Organo era un monastero benedettino
di DARIO CERVATO
Oltre mille anni di storia e arte in un curatissimo volume di Luciano Rognini, massimo esperto del monachesimo olivetano
di DARIO CERVATO
La presentazione del volume Il Monastero di Santa Maria in Organo di Verona e sue dipendenze. Oltre un millennio di storia, arte e cronotassi, edito da Luciano Rognini nel gennaio 2020, era prevista per il successivo 9 marzo, ma per la pandemia venne sospesa; avrà luogo il prossimo venerdì 26 novembre nella chiesa omonima, alle ore 17.30.
Rognini, autore ben noto tra gli studiosi veronesi di storia dell’arte e della musica, ora dedica un corposo volume al monastero; questo è stato preceduto da altri interventi su alcune dipendenze del monastero stesso, come Sezano e Sorgà, sull’abate Cipriano Cipriani, sull’architetto e artista Giovanni De Tachis e su altri ancora. L’autore ha inoltre spaziato lungo gli anni in campi e su argomenti diversi, come ad esempio sulla vicenda di Santa Maria di Nazareth in Verona, sui Governanti di Verona e altri temi; al suo attivo ha pure la pubblicazione di tre romanzi.
Se un particolare del suo metodo storico va notato, è che egli ricostruisce le sue pagine partendo da un rapporto diretto con i documenti per lo più inediti. È infatti assiduo frequentatore e consulente di biblioteche e archivi, da cui derivano il materiale e la ricostruzione di vicende di personalità, fatti e problemi che solo il contatto fortunato con le fonti contribuisce a illustrare e risolvere.Ciò vale anche per il volume sul monastero. Presentato da mons. Franco Alvise Segala, il libro è diviso in due parti: la prima, comprendente cinque capitoli, dedicata alle vicende storiche del periodo che va dalle origini (VII sec.) al 1444, quando il monastero ospitò i Benedettini neri; e la seconda, di sette capitoli, caratterizzata dalla presenza dei Benedettini Olivetani o bianchi, presenti dal 1444 fino al 1806.
L’insieme offre un panorama storico articolato secondo gli avvenimenti nei quali si intrecciano storia della Chiesa e civile, storia del monachesimo benedettino e olivetano, e storia dei diversi protagonisti e delle diverse arti. Alle due parti in cui si divide il volume segue un inserto di 44 pagine contenenti 91 riproduzioni, quasi tutte a colori; vi si aggiunga la riproduzione di copertina che presenta san Benedetto tra i discepoli san Mauro e san Placido in abiti olivetani. Seguono quindi due appendici di documenti: la prima (pp. 241-57) offre per la prima volta gli elenchi completi degli abati benedettini e olivetani, seguiti da altri elenchi riguardanti cappellani, curati, parroci, arcipreti e amministratori parrocchiali fino al 2018; seguono gli elenchi di priori e abati di monasteri dipendenti da Santa Maria in Organo. La seconda appendice (pp. 258-68) presenta dieci documenti riguardanti interventi pontifici, pagamenti, accordi per lavori da eseguire, una relazione sulla peste del 1630, l’accettazione dell’abate Zucco nell’Accademia Filarmonica di Verona e un albero genealogico della famiglia Brusasorzi.
Concludono il volume una nutrita bibliografia e un utilissimo Indice dei nomi di persona, che valorizza almeno del doppio il volume stesso. Se poi la natura e i contenuti dei documenti a disposizione, spesso di carattere istituzionale e amministrativo, non sempre lasciano intravedere gli aspetti spirituali che ci si aspetterebbe di incontrare, toccherà al lettore intravedere anche attraverso queste pagine progressi o crisi di uomini votati a vita cristiana più intensa. Lo stesso lettore non mancherà di apprezzare l’importanza del monachesimo olivetano, di cui Rognini è il massimo esperto in Verona. Visitando, non dico Monteoliveto Maggiore, ma anche il modesto monastero olivetano della Madonna di Lendinara, ci si affaccia l’immagine di Santa Maria in Organo, accompagnata dal ricordo dei monaci bianchi non più presenti dal tempo napoleonico ad oggi.
Al di là di ciò, il libro del Rognini non solo dà notizie nuove e inedite, ma suscita interesse e soddisfazione per le deliziose raffigurazioni di capolavori, come il candelabro del cero pasquale, il leggio e il coro ligneo intarsiati da Giovanni De Tachis nella chiesa e le riproduzioni della sagrestia, quest’ultima definita da Giorgio Vasari la “più bella sagrestia che fusse in tutta Italia”. Ma non mancano ulteriori notizie e curiosità, non solo nell’apparato iconografico ma anche nell’intero volume.
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