Ludovico Carracci, Visione di san Francesco (1585 ca.), Rijksmuseum - Amsterdam
La gloria divina nel segno di un neonato piccolo e fragile
GENERALE - Ai margini di un bosco, sotto un cielo stellato, una luce divina irrompe improvvisa e delicata per illuminare l’oscurità della notte. Al centro della composizione, Gesù Bambino viene contemplato ed abbracciato con devozione da San Francesco, alla presenza di Maria. È l’amore tenero e appassionato di questo Santo per Gesù, ciò viene rappresentato in maniera magistrale da Ludovico Carracci in questa bella tela che oggi è custodita ad Amsterdam. L’artista, molto attento alla dimensione emotiva dell’esperienza della fede, ci mostra la Madre di Dio che ha appena affidato suo Figlio all’abbraccio del poverello di Assisi, secondo quanto attesta un racconto tratto da antico testo francescano, gli Annales Minorum. Il giovane frate che il pittore ha ritratto sullo sfondo, in basso a sinistra, illuminato da un bagliore dalla luna è il testimone dell’episodio narrato dagli Annales: egli, che dubitava della santità di Francesco, ebbe il privilegio di assistere a questa apparizione particolare. Lo sguardo assorto dello spettatore è chiamato ad accompagnare quello del protagonista della scena, uno sguardo che rimanda alla proclamazione del Vangelo di Luca 10, 23: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete!”. Gli occhi della carne non vedono nulla di straordinario: un neonato come tanti, che non ha nulla di speciale. San Francesco però guarda quel Bambino con gli occhi del cuore, quelli della fede, riconoscendo nella fragilità della sua carne la gloria del Figlio di Dio.
ABBRACCIO - In un certo senso, la storia qui rappresentata, riprende il celebre evento della notte di Natale del 1223, quando nel paese di Greccio venne rievocata la Natività, ed il santo di Assisi prese tra le braccia il Bambino, dando origine alla tradizione del presepio. Questo abbraccio è segno di una nuova relazione con Dio, caratterizzata da infinita fiducia e confidenza, che attesta una appartenenza reciproca tra il cielo e la terra; è intreccio “teandrico”, sacramento delle nozze tra divinità ed umanità; è un incontro intimo che genera gioia; è un abbraccio di pace, quella pace annunciata dal canto degli angeli della Santa Notte. Va rilevato che l’apporto della spiritualità francescana contribuì in modo decisivo a modificare l’iconografia di Gesù Bambino: ricordiamo che fino poco tempo prima lo si rappresentava abitualmente come un piccolo Signore e Giudice, seduto o in posa eretta, tra le braccia di Maria che gli fungeva da trono (es. Maestà romaniche). Gesù Bambino, agli occhi dei fedeli, appariva come un Pantocrator, un adulto in scala minore: era questo un modo per attestare l’unità del Mistero di Cristo, colto sempre dalla prospettiva pasquale. Qui invece, Ludovico Carracci, con la sua pittura attenta ad interpretare il senso della verità naturale, ce lo propone come un normalissimo neonato, bisognoso di cure e di affetto. Già da alcuni secoli, precisamente tra il Duecento ed il Trecento, ebbe inizio la creazione di opere d’arte che mettevano in evidenza la natura umana di Cristo, i suoi sentimenti, la sua sofferenza … basterebbe pensare anche soltanto a Giotto! La divinità del Figlio venne in tal modo resa più vicina, più affettiva, più desiderabile, più capace di favorire la contemplazione dei fedeli che in questa umanità di “viva carne” e non più idealizzata teologicamente, si rispecchiavano più facilmente.
SAN FRANCESCO - È davvero bella la figura di San Francesco, inginocchiato a terra, che emerge dall’ombra e viene progressivamente illuminato dalla luce della visione celestiale. Nel suo dolcissimo gesto di affetto è riassunta la sua fede ed il suo amore sincero per il Bambino. Bisogna ricordare che Ludovico Carracci crebbe come pittore a Bologna, città all’avanguardia nella applicazione dei dettami del Concilio di Trento: in questo clima di Controriforma il culto dei santi fu promosso dalla Chiesa Cattolica, in special modo per formare il popolo di Dio e per dar forma e volto ad atteggiamenti morali virtuosi, ispirati appunto alle figure esemplari più rappresentative della tradizione. “Pietà, modestia, santità e devozione” erano gli i cardini fondamentali del programma di rinnovamento promosso dal Cardinale Paleotti in quegli anni. L’esaltazione dell’esperienza mistica del Poverello di Assisi viene qui sapientemente coniugata con la cura dei dettagli di estremo realismo, in cui naturale e soprannaturale non sono più separati, per far sì che chi sta di fronte al dipinto possa essere portato a sentirsi più buono, più sereno, più fiducioso, proprio come Francesco. Ma questo non può bastare, perché altrimenti potrebbe fermarsi solo ad un livello epidermico o sentimentale: l’opera di Carracci vuole condurre i fedeli ad assumere le scelte coraggiose del Santo, la cui vita non fu una passeggiata romantica al chiaro di luna, ma una testimonianza concreta e profetica a favore dei piccoli e degli ultimi. Questo è l’esatto opposto di una mistica disincarnata, di una devozione alienante, di un ritualismo anestetizzante e incapace di animare la carità!
MARIA – Un’altra figura anima la scena: è quella di Maria, i cui occhi sembrano scrutare l’infinito come per cercare di comprendere sia la grandezza dell’Incarnazione, come pure la bellezza della risposta accogliente di Francesco. La Vergine è raffigurata come una bella ragazza, senza enfasi, con modestia ma anche con grande eleganza … anzi addirittura con una certa solennità che induce ad una adorazione riverente e silenziosa. Maria poggia i suoi piedi scalzi su una nuvola, e si fa presente restando umilmente defilata per lasciar spazio all’incontro tra suo Figlio ed il santo di Assisi. Sul suo capo, sotto il manto blu indossa il velo della sposa. La luce che la avvolge la connota come l’Aurora mistica della Redenzione. Guardandola il fedele è aiutato a comprendere che con questa giovane donna appare finalmente nel mondo una creatura che è solo sguardo di bontà, una mano incapace di colpire, una parola incapace di ferire, una innocenza minacciata eppure vittoriosa, un cuore senza divisioni, una vergine che ama in castità e tenerezza totali, una maternità non possessiva ma tutta protesa a consegnare il Cristo nelle nostre mani!
PAESAGGIO NOTTURNO – L’ambientazione notturna della scena evoca certamente la notte francescana del Natale di Greccio … ma prima ancora rimanda alla notte di Betlemme, quella notte che fece da cornice alla splendida rivelazione della Luce del mondo. Ludovico Carracci, manifesta qui la sua abilità nell’osservazione naturalistica delle persone e delle cose, e degli effetti di luce: questo bel paesaggio e questo suggestivo notturno ne sono una testimonianza eloquente. Durante gli anni del suo apprendistato pittorico presso il maestro Prospero Fontana, egli aveva lavorato a lungo sui presupposti scientifici e morali della pittura. Il pensiero classicista che domina la sua arte assume note non solo drammatiche ma anche sognanti, come possiamo vedere in questo caso.
GENERALE – Sono diverse le influenze che ritroviamo in questo dipinto, dal naturalismo lombardo, all’eleganza tipica del Correggio, dalle atmosfere veneziane di Tintoretto, alle delicatezze del Barocci. Non sappiamo con precisione chi lo commissionò e per quale destinazione, ma certamente il contesto doveva essere quello dell’ambiente francescano, in particolare quello dei Cappuccini che in questi tempi stavano crescendo d’importanza per il loro spirito rigoroso e per i ritorno ad una vita religiosa semplice ed austera. Lo stesso soggetto sarà ripreso anche da Domenichino, Guido Reni e Guercino. Carracci è un autentico maestro della pittura religiosa, capace di comunicare con semplicità ed immediatezza i temi della fede: i suoi dipinti manifestano una grande capacità espressiva, attenta agli aspetti psicologici dei soggetti, caratterizzata da morbidezza e calore, da toni intimi, coinvolgenti, anche se talvolta un po’ retorici. L’Accademia artistica degli Incamminati, fondata da Ludovico con Agostino e Annibale, divulgherà i principi fondamentali dell’arte carraccesca, ed è noto quanta influenza esercitò sui pittori delle generazioni successive.
Tuttavia l’artista è per noi anche un discreto compagno di viaggio che ci invita all’incontro col Bambino di Betlemme. Tutto ci affascina della bellezza di questa tela in cui possiamo ritrovare anche una eco delle tre messe natalizie:
- la Messa della Notte, con l’accento posto sul fulgore della luce del Salvatore
- la Messa dell’Aurora che esalta l’adorazione dei semplici, (cfr. i pastori)
- la Messa del Giorno, incentrata sul mistero del Verbo fatto carne.
Così, con la sua pittura, l’artista vuole che assistiamo anche noi, alla manifestazione della Gloria divina nel segno di questo neonato piccolo e fragile; lasciamoci dunque prendere per mano da Maria e da San Francesco per essere aiutati a cogliere la semplicità, la piccolezza, la docilità, l’umiltà e la confidenza filiale del Mistero.
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BIBLIOGRAFIA
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- F. BOESPGLUG, Jésus a-t-il eu une vrai enfance?, Cerf, Paris 2015
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