«Verona, gioca di squadra!»
di REDAZIONE
Il richiamo del vescovo Domenico alla città: passiamo dall’io al noi. Il discorso alla città di Verona pronunciato dal vescovo Domenico in occasione di san Zeno
di REDAZIONE
In occasione delle celebrazioni per il Santo patrono (che hanno chiuso anche le visite lampo ai vicariati diocesani), mons. Domenico Pompili ha letto in San Zeno il suo discorso alla città davanti ad una platea di pubblici amministratori scaligeri: «San Zeno ci aiuti a “pescare” dentro di noi quell’attitudine relazionale che costruisce non invano il “bene comune”... È inutile pensare di risolvere i problemi di una città ricorrendo al confronto muscolare... È velleitario pensare di amministrare un territorio senza una visione, senza l’ascolto attento e amorevole della gente. Occorre qualcosa di oltre, di gratuito, di eccedente: occorre un bene comune»
Ecco il testo integrale del discorso del Vescovo e la sintesi della visita al vicariato di Verona Centro:
«È il tempo del noi e della collaborazione»
“Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino”. Per ben tre volte il Salmo 127 (126) ricorre all’espressione “invano” per affermare che la casa, la città, il lavoro, i figli avranno consistenza solo se Dio accompagna lo sforzo umano. Detto in parole povere: è vano affrontare i problemi comuni come fossero un’impresa individuale; è inutile pensare di risolvere i problemi di una città ricorrendo al confronto muscolare; è ingannevole la ricerca di consenso e l’uso strumentale di fenomeni complessi come la povertà o l’immigrazione; è velleitario pensare di amministrare un territorio senza una visione, senza un’idea condivisa di bene comune, senza l’ascolto attento e amorevole della gente; è illusorio, infine, ritenere che la denatalità, l’educazione dei figli, il disagio degli adolescenti, l’emergenza abitativa per le giovani coppie siano problemi privati e non una questione pubblica, collettiva, che riguarda il comune destino. L’attività umana non basta a sé stessa. Occorre qualcosa di “oltre”, di gratuito, di eccedente: occorre un “bene comune”. Al termine della visita-lampo nei 14 vicariati posso dire di aver intravisto innumerevoli “volti” di persone che fanno lievitare il “bene comune”: quelli che si impegnano ogni giorno nelle istituzioni e nel volontariato; quelli che come imprenditori hanno cura di far crescere collaboratori e clienti; quelli che insegnano e si impegnano per integrare figli e famiglie, anche di immigrati; quelli che nel mondo della salute si prendono cura dei malati; quelli che si fanno carico dei disabili e delle diverse forme di dipendenza per aiutare la società a non implodere. Dinanzi alla crisi permanente di oggi, sotto la spinta dei due vettori del cambiamento che sono la sostenibilità e la digitalizzazione, ci ritroviamo come di fronte ad un bivio: decidere ancora una volta che è la libertà – e con essa la democrazia e l’iniziativa personale, il pluralismo, la sussidiarietà, la solidarietà, la pace – la carta vincente per affrontare le nuove sfide della fase post-pandemica; o scivolare impercettibilmente verso quell’esonero dalla responsabilità, che invoca misure forti dall’alto e dall’esterno, subendo il fascino di modelli che non amano la libertà. La scelta è tutt’altro che scontata e a costo zero: solo sovrainvestendo sulle persone e la qualità delle nostre relazioni personali e istituzionali, possiamo pensare di farcela. Non in astratto, ma molto concretamente, con un massiccio e consapevole investimento nell’educazione. Non è affatto detto che ce la faremo, ma i risultati arriveranno se torneremo ad interrogarci su quel bene inestimabile che è la libertà, Dopo gli anni dell’io e della concorrenza, per sfuggire alla rabbia e all’aggressività crescenti viene il tempo del noi e della collaborazione. Al di là del suo grembo relazionale, infatti, la vita umana si impoverisce perdendo pezzi preziosi di realtà. Impoverisce il suo cuore e la sua ragione. La sua intelligenza. Il suo pensiero, il suo spirito. E così impoverisce il mondo, perdendosi nell’incuria e nell’indifferenza. San Zeno, che è il genius loci di Verona, è rappresentato sempre con una singolare canna da pesca. Ci aiuti a “pescare” dentro di noi quell’attitudine relazionale che costruisce non invano il “bene comune”.
Domenico Pompili
Vescovo di Verona
Tra volti e ponti il centro in cerca di connessioni che uniscano presente e futuro
È stato una novità, ma molto apprezzata dalla platea di pubblici amministratori che l’hanno ascoltato in quel di San Zeno, il discorso alla città di Verona che il vescovo Domenico ha pronunciato nel contesto della festa del santo patrono. Un discorso che chiede a tutti i veronesi – e in particolare a coloro che occupano posizioni di rilievo nella gestione della comunità – di superare personalismi, divisioni esacerbate, campanilismi e insomma qualsiasi motivo che abbia più lo scopo di dividere che di unire. E di unire in vista del bene comune, di una crescita della comunità veronese i cui componenti sono invitati più ad usare il “noi” che l’“io”. Siamo in un grande periodo di cambiamento: cambiamo anche noi. Lo scorso fine settimana il vescovo Domenico ha anche incontrato i religiosi e i laici del vicariato di Verona Centro. L’immagine di otto ponti sull’Adige nel cuore della città, scelta per presentare al Vescovo un quadro riassuntivo del vicariato diventa fotografia simbolica di una comunità cittadina chiamata a stabilire connessioni che sono altrettante sfide in alcuni ambiti che connotano la Verona del presente, che però guarda a quella del futuro prossimo. Così giovedì scorso è andato in onda l’incontro pastorale che ha culminato la visita al cuore della città di san Zeno e terminato il viaggio “in cerca di volti” nell’intero territorio diocesano. Per questo evento è stato scelto il teatro Stimate e creata una particolare atmosfera grazie agli intermezzi musicali offerti dagli allievi del Conservatorio statale “Evaristo Felice Dall’Abaco”. Com’è naturale che sia, nel centro si trovano le sedi di numerose associazioni e organizzazioni che lavorano nel campo sociale, le case degli istituti di vita religiosa, gli istituti scolastici, l’università e i luoghi istituzionali per tutti i servizi ai cittadini. Ma non dobbiamo dimenticare gli abitanti che, pur essendo felici di vivere in una delle più belle città d’Italia, chiedono di non diventare ostaggi dell’esplosione turistica abnorme (anche a Verona si sperimenta l’overtourism con il conseguente impatto negativo sulla qualità di vita dei residenti e dei visitatori stessi). La città di Verona, ma vale ben oltre l’area del centro storico, è chiamata a fare scelte che, attraverso il patrimonio di arte, monumenti, cultura e fede – un vero tesoro che abbiamo avuto in eredità – la portino ad essere sempre più abitabile e desiderabile. Perciò, più che sui numeri, occorre scommettere sulla qualità e sull’innovazione lavorando in rete. «Il bello (il tesoro artistico), il bene (il variegato e diffusissimo mondo del volontariato), il vero (rappresentato dall’apporto insostituibile della cultura) – ha ricordato mons. Ezio Falavegna – sono altresì un ponte che intercetta una ricerca che abita anche i veronesi d’oggi cosicché il Vangelo sia donato e accolto. Perché, proprio a partire dall’umano, il Vangelo ha molto da dire all’oggi se veicolato con modalità adeguate e rispettose del nostro tempo». Mons. Pompili ha apprezzato questa immagine dei ponti e l’ha fatta propria, richiamando come nella realtà del quotidiano le parrocchie sono ancora il ponte attraverso il quale transita la trasmissione dell’esperienza cristiana che per natura è rivolta a tutte le persone.
Stefano Origano
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