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Un sogno chiamato Central Park

All'ex scalo merci delle ferrovie, in quell'area di mezzo milione di metri quadrati che taglia in due la città, tra la stazione di Porta Nuova e Santa Lucia, proprio lì, un giorno, anche i veronesi potrebbero avere il loro Central park.
Intervista all'assessore all'urbanistica, all'edilizia privata e ambientale del Comune di Verona Ilaria Segala.

Parole chiave: Central Park (2), Scalo Merci (1), Verona (228)
Un sogno chiamato Central Park

Se ne fa un gran parlare, ma il condizionale è d'obbligo perché l'iter sarà lungo. Lo spazio è di proprietà di Rfi – Rete ferroviaria italiana, dunque servono un sacco di soldi per acquisirla, per bonificarla e poi per adibirla a quello che diventerebbe di gran lunga il parco più grande della città: 200mila metri quadrati di prati calpestabili, 100mila di bosco, altri 15mila di orti urbani, una ciclovia sopraelevata di cinque chilometri e mezzo e percorsi pedonali per sette chilometri. E ancora: impianti sportivi, teatro all'aperto, spazi per musica, mostre e incontri.
Questo il progetto che ha in animo l'amministrazione guidata da Federico Sboarina. Il nome con cui lo hanno ribattezzato non è casuale: alla fine sarà un piccolo polmone verde nel cuore di Verona. Ma non se ne parlerà fino al 2026, data prevista per la cessione dell'area da parte di Rfi. Se il Central park è il sogno di Sboarina, promesso in campagna elettorale e tra le priorità della sua agenda di governo, sarà comunque materia per il suo successore. «Intanto gettiamo le basi», sottolinea l'assessore all'urbanistica, all'edilizia privata e ambiente Ilaria Segala.
Il Central park è tra le opere compensative chieste a Rfi per il passaggio da Verona della linea dei treni ad alta velocità-alta capacità (Tav) sull'asse del Brennero. Ciò significa che, all'interno del progetto del “nodo Verona”, e in particolare per l'ingresso ovest che confina con lo scalo merci, l'amministrazione ha chiesto un allungamento del binario, strategico per la connessione alla Fiera, e «la contestuale realizzazione di un parco urbano da destinare a fruibilità pubblica, le cui dimensioni dovranno essere le più ampie possibili, tendendo possibilmente all'interezza di tale ambito».
In base alle previsioni del Piano d'area Quadrante Europa (Paqe), era già previsto che lo scalo merci fosse in parte destinato a parco. La metà, cioè circa 250mila metri quadrati. Ma in una delibera redatta dall'assessore Segala si chiede come compensazione «una destinazione a parco la più estesa possibile, anche tutta. E ciò con l'intenzione di creare le condizioni per realizzare un unico, grande parco urbano».
Chiedendo la restituzione di tutta l'area, «abbiamo puntato al rialzo», spiega Segala. «Non nascondo che invece l'intenzione di Rfi è quella di capitalizzare. Ovvero, dal punto di vista urbanistico vorrebbe che alcune parti dello scalo fossero edificabili».

– Assessore, a che punto è l'iter?
«Stiamo dialogando con Rfi e con il commissario straordinario designato dal Ministero dei trasporti (l'ingegner Ezio Facchin, commissario straordinario del Governo per le opere di accesso al tunnel del Brennero, ndr), su più fronti per i vari accessi alla Tav. Alcuni progetti sono prossimi, come la dismissione della linea storica di San Massimo che prevede la realizzazione di un cordone di verde sul quale abbiamo fatto un masterplan con l'Ufficio Urbanistica del Comune. Altri sono in stand-by. In generale, la situazione del Central park cosiddetto è spostata più in là nel tempo. Ma la proposta di opera compensativa, già presentata dalla Giunta Tosi nel dicembre 2016, andava portata in Consiglio comunale, dove non era ancora approdata. Ora le nostre osservazioni a quel progetto andranno in Commissione consiliare quarta e poi in Consiglio comunale. Diciamo che ora come ora il Central park è un desiderata».

– Perché?
«Quell'area non è semplice. C'è una pesante bonifica da fare per liberarla dai vecchi binari e dai residui bellici che ci sono quasi certamente, dal momento che la zona è stata pesantemente bombardata durante la Seconda Guerra mondiale. Senza contare il terreno contaminato. Tutto questo deve essere messo sul tavolo quando si discuterà della cessione. Come detto, il Comune e Rfi sono su più tavoli e per noi la priorità è Central park, anche se Rfi la vede in maniera diversa. Ma, ragionando su tutta la linea alta velocità, la strategia deve essere unica».

– Quale sarà la proposta?
«È presto per dirlo. Bisogna pensare attentamente a cosa realizzare all'interno del parco, servono zone d'acqua, spazi ricreativi... Sarà un cuscinetto anche dal punto di vista naturalistico. Ma sicuramente il progetto andrà discusso a Roma. Verona è una città dove arrivano un sacco di linee dell'alta velocità e l'area ex scalo merci è talmente grande che è necessario avere una visione più alta. C'è anche la questione dei collegamenti ciclopedonali che connettano il parco alla città. Insomma c'è tutto uno studio da mettere in campo e la mia opinione è che serva la collaborazione di un paesaggista di rilievo internazionale. Però sarebbe bello se prima del 2026 riuscissimo a restituirne alla città almeno una parte».

– E per quanto riguarda i detrattori?
«L'unica questione su cui si può discutere è quella economica. Altrimenti, penso che nessun altro in città possa essere interessato a un progetto diverso».

– Del resto, di progetti simili non se ne vedono tutti i giorni.
«È vero. Si stanno snocciolando progetti importanti che non sempre si trovano nello stesso momento. Abbiamo l'ambizione di risolvere la questione dell'Arsenale e della rete museale, con palazzo del Capitanio e Castel San Pietro che sono fermi e a cui bisogna dare una destinazione d'uso. E nodi infrastrutturali importanti, come il centro commerciale di Verona sud su cui non concordiamo. Una serie di opere contenitore su cui non possiamo guardare da qui a cinque anni, ma di cui diamo l'input per il futuro».

– C'è il rischio che il Central park diventi come quei “progettoni” da campagna elettorale, che poi non vedono mai la luce?
«Si potrà realizzare anche a tappe. Il problema sono le risorse: siamo legati al patto di stabilità, per cui possiamo utilizzare solo una parte di quelle accantonate. E non nascondo che, al di là degli immobili da riqualificare come l'Arsenale, ci sono molti edifici comunali e opere pubbliche che hanno bisogno di manutenzione».

– Ce un esempio a cui guardare per farsi un'idea di come potrebbe diventare il Central park, una volta realizzato?
«Il Madrid Rìo, nella capitale spagnola». Si trova in un'area abbastanza centrale della città ed è un progetto di ripristino del verde nato dal provvedimento attraverso il quale, tra il 2003 e il 2007, l'amministrazione cittadina interrò un tratto della circonvallazione costruita negli anni Settanta parallelamente al fiume Manzanares. Gli spazi verdi si snodano lungo dieci chilometri e ricreano quel collegamento tra la parte settentrionale e quella sud-orientale di Madrid che era stato sacrificato per decenni.

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