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Su questi ponti sale il progresso

Una mostra nella hall di palazzo Barbieri racconta i manufatti in cemento armato che scavalcano l'Adige

Parole chiave: Ponti (1), Progresso (1), verona (228)
Su questi ponti sale il progresso

Verona città fluviale. Città di ponti tra progresso e storia. Diciassette quelli costruiti e/o ricostruiti solo nel corso del XX secolo, per collegare centro e periferie, quartieri urbani e zone industriali, arterie di scambio o vie di traffico ferroviario. Non solo strutture asettiche in cemento armato o manufatti in pietra a scopo celebrativo: attorno ai ponti dell’urbe scaligera, il fiume Adige ricuce una storia di civiltà, relazioni, modernizzazione dell’intero assetto cittadino, ma anche dell’arte del costruire.
Un costruire fatto di sfide costanti, dovute ora alle caratteristiche del territorio, ora alle incognite ambientali, quali quelle legate appunto o alle piene dei fiumi o alle continue sollecitazioni dell’acqua, che hanno via via imposto l’utilizzo di materiali di prim’ordine e la ricerca di tipologie strutturali sempre più efficienti, rendendo i cantieri dei ponti una grande fucina dell’edilizia fin dal primo Novecento.
È infatti lo sviluppo urbano degli anni ’20 e ’30 a condurre Verona sulle prime autostrade del progresso scaligero. A partire da questo momento, la fabbrica delle infrastrutture si mette in moto da un lato sfornando opere ex novo, dall’altro intervenendo sulle strutture metalliche di fattura ottocentesca, per sostituirle con l’ormai eletto “materiale del futuro”: il cemento armato. Simbolo di un’evoluzione partita a tutta velocità, destinata a interrompersi – ma solo per poco – sotto i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, che in maniera più o meno importante distrugge ovvero danneggia tutti i ponti scaligeri.
Verona non si abbatte. E dal 1946 avvia una seconda fase di ricostruzione, connotata da un dispiego di figure progettuali (ingegneri, architetti e geometri) che, accanto all’Ufficio del Genio Civile di Verona, diventano protagoniste di un’attività di rilievo anche per l’economia del territorio.
Un filo azzurro, quello dell’Adige e dei suoi ponti, che in questi giorni ci traghetta nell’inedita esposizione allestita nella hall di Palazzo Barbieri, “I ponti in cemento armato”, ideata da Arcover-Archivi del costruito del territorio veronese in rete (con capofila l’associazione Agile), e organizzata in collaborazione con l’Assessorato all’urbanistica ed edilizia privata del Comune di Verona. In mostra disegni tecnici, fotografie, lettere, computi metrici e modellini tridimensionali in sezione, che in modo minuzioso, raccontano l’odissea di queste opere sull’acqua, tra prima e seconda rinascita.
Con curiosità anche su ipotesi progettuali mai venute alla luce, ma ancora interessanti, tra cui quella per il rifacimento di ponte Navi, contenente una soluzione progettuale ad unica arcata cofirmato, nel 1947, da Guido Troiani, già presidente dell’Ordine degli architetti.
Un itinerario accompagnato da 40 pannelli espositivi, che per la prima volta raccoglie il materiale originale dei più importanti archivi cittadini, alla riscoperta della storia dei nostri ponti a noi più vicina. Si parte dai primi decenni del secolo scorso, quando la necessità di rendere più efficienti le comunicazioni portò all’edificazione di ponte Catena (1929), ponte San Francesco (1929) – pensati per collegare i quartieri al di là dell’Adige con il centro storico – e ponte della Vittoria (1930), raccordo strategico tra San Zeno e il neonato quartiere di Borgo Trento e, al contempo, monumento commemorativo dei caduti della Grande Guerra.
Negli stessi anni, l’incremento del traffico veicolare suggerisce il rifacimento in cemento armato dei ponti Garibaldi (1935), Umberto/Nuovo (1936), delle Navi (1937) e Aleardi (1939).
Sulle macerie della Seconda Guerra mondiale, invece, che sfregiò anche gli storici ponti Scaligero e Pietra, tra il ’46 e il ’59 vennero ripristinati tutti i ponti. Uno dei primi fu il Catena, ricostruito sulla base del progetto originario e per l’occasione semplificato. Per il Nuovo, ai fini di decoro urbano, si provvide al rivestimento in lastre di pietra di Verona lavorate a martellina. Del ponte della Vittoria sopravvisse solo l’arcata destra, integrata nella nuova struttura, a sua volta realizzata nelle medesime forme, ma sfoltite e private delle decorazioni d’origine. Analoga sorte per il ponte di Castelvecchio – a differenza degli altri 15 in calcestruzzo – ricostruito integralmente con mutatura di mattoni e ghiere in pietra, e cioè il più fedelmente possibile all’architettura preesistente anche nei materiali. Come pure ponte Pietra.
A cavallo tra anni Sessanta e Settanta, vennero invece realizzati ponte del Risorgimento e ponte Unità d’Italia, funzionali all’ulteriore crescita della città postbellica. «Una proposta di valenza didattica anche per i professionisti del pubblico, tecnici e amministratori», osservano i curatori Michele De Mori, architetto, e Angelo Bertolazzi, ingegnere. E getta a sua volta un ponte in questo terzo millennio, pronto ad accogliere il progetto della Tav, con un nuovo viadotto sull’Adige, costituito da pile assemblate nell’alveo del fiume, in stretta adiacenza con l’attuale ponte ferroviario. 

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