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Fari puntati sui nostri campanili

di SILVIA ALLEGRI

Comincia il nostro viaggio alla scoperta dei campanili di città e provincia

Fari puntati sui nostri campanili

di SILVIA ALLEGRI

Dominano le città, i paesi, i villaggi. Sono rispettati perché offrono un punto di riferimento visivo, orientano, rimarcano un’identità, ma al tempo stesso rappresentano anche una protezione, un approdo sicuro, una voce che non lascia mai soli. I campanili popolano il cielo sopra Verona e sopra le sue terre limitrofe, e lo fanno sul serio: la città scaligera ne è letteralmente traboccante. E i Comuni non sono da meno: dalla Lessinia alla pianura, dalle sponde del lago alle colline dell’Est veronese è tutto un susseguirsi di torri campanarie che conservano memoria, nella loro fattura, dell’incredibile e complessa storia del nostro territorio.

Abbiamo deciso di andare a scoprire più da vicino i campanili. Perché se è vero che svettano sotto i nostri occhi in ogni momento della giornata, che ci “parlano” sempre scandendo le ore con le loro campane, e che si fanno contemplare agevolmente dalle colline e dai punti strategici sopraelevati come Castel San Pietro, è un dato di fatto che queste presenze conservano ancora un’infinità di misteri. Il nostro viaggio, su e giù dalle torri campanarie, ci aiuterà ad avere le idee più chiare sui campanili, le campane e i maestri campanari. Con la loro presenza essi permettono ogni giorno che si realizzino due piccoli miracoli: la consapevolezza della propria appartenenza – non a caso si parla di campanilismo, definendo l’amore a volte perfino straripante per il proprio paese – e l’ascolto di un suono che scalda il cuore, sempre. Come questo sia possibile è presto detto: arrivando dall’alto, il rintocco di una campana mette a tacere (con delicatezza ma autorevolezza) qualsiasi altro rumore, anche solo per pochi istanti.

«Le campane un tempo scandivano i ritmi della giornata, e oltre ai segnali orari (e dunque ai rintocchi delle ore), annunciavano le celebrazioni, davano inizio e fine al lavoro dei campi. Ma non solo: annunciavano nascite e morti, e in base ai rintocchi era possibile sapere se si trattasse di una persona giovane o anziana; e poi segnalavano temporali, incendi e altri pericoli». A introdurci nel mondo dei campanili e delle campane è Matteo Padovani, presidente della Scuola Campanaria Verona, nata nel 2010 sulla memoria storica dell’antica scuola cittadina di San Giorgio fondata nel 1776, lo stesso anno in cui nasceva il metodo di suono detto “alla veronese”. Una passione, quella di Matteo, che si è fatta largo fin dall’infanzia: «Non sono nato con il campanile sopra la testa, essendo originario del quartiere Stadio, ma le campane e il campanile mi hanno suggestionato sempre. Ricordo una vacanza da bambino a Badia Calavena sotto il campanile in cui non mi perdevo un solo suono di campane, e specialmente il mezzogiorno e l’Ave Maria della sera. Anche da ragazzo, in occasione di gite, non ne perdevo una. Poi ho conosciuto dei campanari che mi hanno introdotto all’arte campanaria».

Matteo racconta il ruolo strategico delle campane, in città e nei paesi: «La scansione del tempo attraverso le campane avveniva anche con le torri civiche, come la Torre dei Lamberti. In questo caso le campane segnavano gli eventi cittadini, tra cui l’apertura e la chiusura del mercato di piazza, il consiglio comunale, ai tempi della Repubblica di Venezia anche le condanne a morte e le esecuzioni. Tuttora esse segnano eventi di valenza civica, che nel paese sono affidati normalmente alle campane parrocchiali». Oggi la campana ha perso quasi completamente la sua importanza come strumento che ritma la giornata, soppiantata oramai da telefoni, computer, televisioni. Eppure le campane continuano ad avere un loro fascino: «Il suono delle campane raggiunge tutti, indistintamente, anche chi non frequenta la chiesa, perché riporta a una dimensione intima. Ascoltare una campana costringe a sostare, a resettarsi interiormente. E a viaggiare con la fantasia rincorrendo i propri ricordi, in un tempo quasi sospeso».

È ancora Matteo Padovani a raccontare il motivo per cui le campane sono posizionate nei campanili. «Da quando le campane hanno iniziato ad avere un utilizzo costante nella religione cristiana, ossia da quando il culto è diventato libero con l’Editto di Costantino nel 313 d.C., si è cominciato a usare questi strumenti di avviso sonoro che derivavano dai tintinnabula romani in bronzo. Si è pensato così di usare le antiche torri esistenti in modo che il suono si diffondesse il più lontano possibile. Per parlare di campanili propriamente detti, dobbiamo arrivare alle torri altomedievali, come ad esempio quelle di Ravenna». Anche i campanili, nel corso dei secoli, si sono conformati alle evoluzioni di cui le campane sono state oggetto. Le campane sono progressivamente aumentate di numero e sono state perfezionate nella qualità del suono, e mentre prima i campanili erano adattamenti di torri sorte per scopi difensivi, poi diventano strutture architettoniche appositamente concepite per le campane, con celle campanarie sempre più spaziose. «In epoca rinascimentale le campane cominciano a essere concepite come strumento musicale, e a partire dal tardo Settecento cominciano a produrre vera e propria musica».

Ma il campanile è una delle prime cose che si vede del proprio paese o quartiere; è quasi sempre l’edificio più alto in cima al quale si può dominare sia la chiesa che l’abitato sottostante e l’intero territorio; è spesso una bella opera architettonica che “racconta” i tempi, le influenze (nel Veneto “veneziano” ci sono quelle belle strutture con il “cipollotto” finale di sapore orientale). Svetta quasi sfidando le regole della statica: qualche volta perde la sfida: come nel 1977 la torre campanaria di Valeggio, crollata su se stessa; o come nel 1902 il molto più celebre campanile veneziano di San Marco, letteralmente sbriciolatosi. Saliremo su quelli di città e su quelli distribuiti nella nostra diocesi che abbiano una storia da raccontare, uno stile da fotografare, magari un ensemble di campanari che li frequentano. Cominceremo, nel prossimo numero, con quello di San Giorgio in Braida, a Verona. 

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