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Se sotto il tetto non ci stanno tutti

Per alcune persone trovare alloggio è una missione impossibile: come mai?

Parole chiave: Inchieste (1), Verona Fedele (28), Primo Piano (16)
Se sotto il tetto non ci stanno tutti

Persone e famiglie immigrate soprattutto, ma pure nuclei italiani a basso reddito o in condizione di fragilità: sono gli esclusi del mercato abitativo nostrano. Trovare casa per loro è problematico, nonostante ci sia disponibilità di alloggi. 

Il tema è sparito da tempo dalle agende politiche; a metterci una toppa è il privato sociale, con diverse realtà impegnate a trovare immobili accessibili a chi da solo non riuscirebbe a ottenere un affitto. 

Se sotto il tetto non ci stanno tutti

Il 27 settembre si celebrerà nella Chiesa Cattolica la Giornata mondiale del migrante e del Rifugiato. Ci vogliamo preparare con una serie di articoli sui temi che vi sono inerenti e, in questo primo appuntamento, vogliamo fissare lo sguardo su un aspetto dell’immigrazione che spesso è sottaciuto: quello del bene “casa”, dell’abitazione dignitosa come condizione per l’integrazione. Papa Francesco ci ha abituato con i suoi interventi a sviluppare nei confronti degli immigrati e dei rifugiati un’azione a 360°, a pensare a cammini d’integrazione che comprendano un reale sviluppo umano in tutti i suoi aspetti. Nel messaggio del 2018 focalizzava l’attenzione su quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare; quest’anno rimanda invece a sei coppie di verbi che devono guidare il pensiero e l’azione del cristiano verso una accoglienza “evangelica” di questi fratelli e sorelle. Una di queste coppie di verbi afferma che “per crescere è necessario condividere”. Il Papa scrive: “Dio non ha voluto che le risorse del nostro pianeta fossero a beneficio solo di alcuni. No, questo non l’ha voluto il Signore! Dobbiamo imparare a condividere per crescere insieme, senza lasciare fuori nessuno. La pandemia ci ha ricordato come siamo tutti sulla stessa barca. Ritrovarci ad avere preoccupazioni e timori comuni ci ha dimostrato ancora una volta che nessuno si salva da solo. Per crescere davvero dobbiamo crescere insieme, condividendo quello che abbiamo, come quel ragazzo che offrì a Gesù cinque pani d’orzo e due pesci… E bastarono per cinquemila persone (Gv 6,1-15)!”. Da anni chi opera nel mondo dell’accoglienza e dell’integrazione sa che la condivisione, intesa come messa a disposizione del bene “casa”, è un aspetto molto problematico. Quante volte si sono cercate abitazioni per persone, famiglie di immigrati, anche con possibilità economiche, e ci si è trovati davanti a un muro. Pesano pregiudizi, talvolta esperienze negative. Il risultato comunque non cambia. Non è facile trovare alloggio per una famiglia immigrata. Questo costituisce ovviamente un ostacolo al cammino di integrazione perché spinge le persone immigrate a vivere in situazioni abitative degradate e magari di sfruttamento. Sistemazioni, che nessun “italiano” affitterebbe a un altro “italiano”, vengono date a cittadini immigrati a prezzi esagerati. Con la conseguenza di spingere a forme di sub-affitto che creano disagio e magari degrado sia per gli stranieri che ci vanno a vivere che per il vicinato. Certamente il problema abitativo non tocca unicamente gli immigrati, ma pure non pochi nuclei familiari italiani a basso reddito. Questo genera una conflittualità tra poveri che dovrebbe essere presa in considerazione da politici e amministratori, al di là dei facili slogan e delle possibili strumentalizzazioni. La casa è elemento importante per la vita delle persone, per la loro stabilità affettiva e sociale, quindi non possiamo parlare di promozione della reale integrazione se non ci preoccupiamo di questo aspetto. I datori di lavoro sanno dove risiedono i loro operai o le badanti che accudiscono i loro familiari? Come possiamo parlare di integrazione quando c’è precarietà per quanto riguarda un fondamentale diritto umano, quello di poter vivere dignitosamente? Serve, come dice il Papa, più condivisione. Con coraggio e creatività. Coraggio nel mettere realmente a disposizione di tutti il bene “casa”. Creatività nel cercare, come comunità cristiana e associazioni, forme di accompagnamento dei fratelli e sorelle immigrati alla fruizione del bene “casa”. La mediazione culturale in questo campo è importante perché abbiamo modalità di cultura spesso diverse e che facilmente possono generare incomprensioni e conflittualità. Nella nostra città, grazie a Dio, ci sono già da anni esperienze positive di mediazione culturale che favoriscono la buona integrazione in ambito abitativo. Ci sembra opportuno farle conoscere di più, perché siano maggiormente sostenute dai nostri parroci e dai nostri laici impegnati nelle Caritas parrocchiali.
Don Giuseppe Mirandola
Direttore Centro pastorale immigrati

«Avrei voluto trovare una casa, ma appena scoprono che la mia pelle è scura...»

La vita appesa a un filo, la fuga, il deserto, la Libia, il mare: il percorso di un profugo che fugge dalla propria casa in Africa e raggiunge le coste italiane è una vera odissea, ricca di insidie e pericoli. Poi, una volta qui, quando tutto sembra essere diventato più tranquillo, questi ragazzi si scontrano contro altri muri insormontabili: l’ottenimento dei documenti, la ricerca di un lavoro e soprattutto di un’abitazione. Ne abbiamo parlato con K.S., ragazzo togolese arrivato quattro anni fa a Verona e accolto dal progetto richiedenti asilo del Samaritano di Caritas Verona.
«Appena arrivato a Verona, per un periodo sono stato in un dormitorio del Samaritano e dopo mi hanno trasferito in una casa. Eravamo in due ragazzi francofoni, accolti in un alloggio messo a disposizione dalla parrocchia di Santo Stefano, a Verona. Si stava bene, avevamo il nostro spazio con un piccolo giardino; i volontari ci davano una mano, il parroco e gli operatori del Samaritano erano presenti. Si stava bene perché sentivamo che c’era chi si prendeva cura di noi e ci aiutava ad inserirci nella società italiana». – Ci siete riusciti? «In quegli anni ho imparato l’italiano, ho trovato lavoro come saldatore, ho capito lo stile di vita di un Paese totalmente diverso dal mio. Poi è arrivato il momento di uscire dal progetto e sono iniziati i problemi».
– In che senso?
«Ho cercato da più parti una sistemazione in affitto, ma non l’ho trovata. Ho i soldi per pagarla, lavoro da un paio d’anni. Sono riuscito a risparmiare parecchio, ma ho sempre trovato la porta chiusa per colpa del colore della mia pelle. Sono stato anche in agenzie immobiliari, ho incontrato di persona dei proprietari di casa, ma tutte le volte che scoprivano che ero nero, che arrivavo dall’Africa, mi dicevano che non era più disponibile. Una volta ho fatto chiamare dal mio operatore della Caritas: al telefono l’accordo per l’affitto era cosa fatta, ma all’appuntamento per vedere l’appartamento e firmare un pre-contratto c’ero ovviamente anch’io. Quando il proprietario ha capito che avrebbe dovuto affittare a un togolese, ha cambiato subito idea e mi ha detto chiaramente che non era più disponibile».
– Che idea ti sei fatto di tutto ciò?
«Sicuramente che qualche africano prima di me deve aver sbagliato nel gestire una casa italiana, così qui la gente è restia nel dare accoglienza a un nero. Però non siamo tutti uguali e, per gli errori di qualcuno, paghiamo tutti. inoltre in Italia c’è tanta paura dello straniero, di chi non si conosce, perciò si fa molta fatica ad affittare a un extracomunitario».
– Dove vivi ora?
«Fortunatamente il Samaritano mi ha concesso un po’ più di tempo nelle sue strutture per poter trovare una soluzione abitativa, senza finire in strada. Adesso vivo con altri africani, proprietari di una casa nella periferia di Verona. Mi hanno messo a disposizione una camera con bagno, mentre la cucina è in comune. Peccato: avrei voluto una casa mia, ma oggi non è possibile. Resto alla ricerca e nel frattempo rimango con loro. Tra qualche anno, con i soldi risparmiati, potrò comprarmene una...». [F. Oli.]

Gli alloggi ci sarebbero anche  ma se manca la volontà politica...

Il tema è scomparso dalle priorità degli enti pubblici: urge una riflessione

Dopo 29 anni di esperienza è spontaneo e necessario porsi il problema se i servizi che la cooperativa sociale “La casa per gli immigrati” finora ha assicurato abbiano ancora un senso; in altre parole, la richiesta e la necessità di case per una tipologia di persone, straniere e non, a bassa capacità economica è ancora un bisogno, un’effettiva necessità? Oppure l’emergenza o l’urgenza “casa” è stata superata dalle politiche messe in atto dalla pubblica amministrazione o dal privato sociale?
Rispetto al bene “casa” riscontriamo una proposta debole e del tutto insufficiente dell’ente pubblico; l’impressione è che questo tema sia scomparso da tempo dall’agenda politica e amministrativa locale, regionale e nazionale.
L’Abbé Pierre, fondatore del movimento Emmaus, diceva: “La casa è tutto”; se questa affermazione mantiene nel tempo la sua validità, rivela oggi purtroppo la sua drammaticità per l’inadeguatezza delle strutture esistenti e usufruibili da famiglie e singoli.
L’Agec e l’Ater, enti pubblici ai quali ci siamo rivolti per dare la nostra collaborazione nel tentativo di risolvere qualche problema – per esempio rendendo nuovamente abitabile qualche appartamento – hanno cambiato politica e pare non siano più disponibili a un lavoro in sinergia con il privato sociale.
È per questo che ci sembra importante, se non indispensabile, rinforzare la rete delle realtà che operano in questo settore del sociale per fare sempre più massa critica e diventare interlocutore che richiami l’ente pubblico alle sue responsabilità, con la convinzione che il lavoro che le associazioni e le cooperative compiono è importante, ma non sarà mai del tutto risolutivo.
Oggi la nostra cooperativa gestisce 52 appartamenti: 33 nel comune di Verona, uno in quello di Villafranca, uno a Sona, uno a Legnago, 6 a San Martino Buon Albergo, 7 a San Giovanni Lupatoto e 3 a Castel D’Azzano. Sette appartamenti sono riservati alla convivenza di singoli, per un totale di 26 persone; quelli destinati ai nuclei familiari, invece, sono 46, per circa 250 persone ospitate.
La cooperativa è gestita prevalentemente da volontari, che con grande disponibilità mettono al servizio della collettività tempo e professionalità. Ci avvaliamo poi della collaborazione importante di due persone assunte, per rispondere in maniera più efficace e puntuale alle richieste di chi è nel bisogno di una casa.
In questo periodo è stato incessante l’impegno del consiglio direttivo per acquisire nuovi appartamenti. Abbiamo incontrato privati proprietari, parrocchie e organizzazioni per coinvolgerli sul tema casa.
Con alcuni parroci si è aperta una riflessione interessante sull’uso possibile delle canoniche dismesse: in diocesi sono in numero importante. A questo proposito, ci rendiamo conto che il lavoro finora svolto abbia bisogno di essere maggiormente conosciuto, sia dall’opinione pubblica che dagli amministratori dei vari Comuni.
Abbiamo chiuso il 2019 con sufficiente soddisfazione, perché siamo riusciti da una parte a risolvere situazioni difficili e dall’altra a chiarire la non sempre facile gestione con gli inquilini. La cooperativa infatti vive in equilibrio se tutti sono coinvolti e responsabilizzati a concorrere al pagamento dell’affitto per l’immobile utilizzato, quindi è necessaria un’opera di sensibilizzazione non sempre semplice.
Per il 2020 la cooperativa deve affrontare situazioni particolarmente difficili dovute alla crisi a seguito della pandemia da Coronavirus, che ha costretto molte persone a rimanere a casa dal lavoro e a vivere l’incertezza per il futuro. Abbiamo già aiutato alcuni nostri inquilini ad accedere al “bonus spesa” ma ci sentiamo anche impegnati a vigilare per capire se ci sono opportunità economiche per aiutare questi nuclei familiari fragili a superare il difficile momento.
Inoltre, in collaborazione con la Comunità dei giovani fondata da don Sergio Pighi, abbiamo iniziato una riflessione su un progetto denominato “Casa rosa” volto a dare spazi di fiducia e di maggior autonomia a ragazze che escono dal percorso dei centri di accoglienza straordinaria (Cas).
Da ultimo, lanciamo un appello pressante a tutti coloro che hanno voglia e un po’ di tempo da dedicare a questa missione. Fatevi avanti: la presenza di volontari ci permette di assumere nuovi impegni nella gestione di ulteriori unità abitative.
Renzo Fior
Presidente della cooperativa sociale “La casa per gli immigrati”

«Da anni non si investe più in edilizia popolare e molti appartamenti liberi restano sfitti»

“Sos Casa” è stata costituita nel 1990 per iniziativa della Comunità Emmaus di Villafranca. Attualmente gestisce una quarantina di alloggi, prevalentemente nella zona di Villafranca, ma una presenza significativa è anche nella zona di Prato, dove sono attive diverse iniziative di Emmaus. Per la maggior parte le case sono di proprietà, per un investimento complessivo di quasi 3 milioni di euro, coperti sia con il credito bancario, sia con finanziamenti a fondo perduto ricevuti da fondazioni, associazioni, parrocchie e dallo stesso movimento Emmaus.
Il costo medio degli affitti è contenuto in 250 euro: un livello moderato, in quanto la cooperativa si avvale esclusivamente di volontari. I soci-ospiti sono in genere immigrati – la categoria più svantaggiata nell’accesso – ma non mancano i casi di italiani in precarietà alloggiativa.
Rispetto al problema degli alloggi, osserviamo che da almeno vent’anni il tema è scomparso dai radar della politica, per un motivo molto semplice: oltre l’80% degli italiani vive in una casa di proprietà. Sono quindi cessati gli investimenti in edilizia residenziale pubblica.
Non solo non si costruiscono più case popolari, ma non vengono neppure fatte le manutenzioni di quelle più vecchie che si liberano, con centinaia di alloggi – così è nella provincia di Verona – costantemente inutilizzati.
Da segnalare, infine, alcune delle ultime iniziative di “Sos Casa”: il recupero di cinque appartamenti dell’Ater inutilizzati, dati in concessione per 15 anni e destinati ad altrettante famiglie immigrate, anche nell’ambito di uno specifico progetto con il Comune di Villafranca; la collaborazione con Il Samaritano per l’ospitalità di richiedenti asilo che hanno terminato il loro percorso di accoglienza; la ricerca in ambito giuridico condotta con l’Università di Verona sul tema “Sinergie per il social housing”, che verrà pubblicata alla fine di quest’anno.
Renato Ferraro
Presidente della cooperativa sociale “Sos Casa”

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