Il Crocifisso di Ghioni: eterna eclissi prima di Pasqua
di SILVIA D'AMBROSIO
Oggetto di una catechesi di Chiese Vive in San Zeno: ecco alcune riflessioni
di SILVIA D'AMBROSIO
Le opere d’arte create lungo i secoli dalle mani e dal genio degli artisti sono state fatte per essere destinate a coloro che le vedono, le interpretano, ne elaborano messaggi, le ri-esprimono e le ri-fanno vivere. L’intentio auctoris, cioè ciò che l’autore e la sua committenza volevano esprimere, vale sul piano pastorale tanto quanto l’intentio operis, ovvero il senso dell’opera consegnato ai suoi fruitori e, dunque, dipendente dall’occhio, dalle emozioni, dalla sensibilità e dalla mente di chi guarda.
È su questo orizzonte e in questa dinamica che si è collocata la catechesi quaresimale con l’arte che l’Associazione Chiese Vive ha organizzato il 14 marzo a San Zeno, in accordo con la parrocchia e con l’abate mons. Giovanni Ballarini per accompagnare il tempo liturgico verso la Pasqua. Il dipinto scelto, Eterna eclissi, che risale al 1966, è custodito in sala Zanotto dal marzo dello scorso anno, quando è stato donato all’abbazia dal suo autore, Aladino Ghioni (classe 1936).
Considerato tra i maggiori pittori neo-surrealisti del panorama odierno e oggi trasferito a San Diego (in California) dalla figlia Katia, nel suo periodo veronese realizzò questa tela: una sorta di invocazione (quasi un ex voto) per la salute della moglie. Racconta l’artista, che non ha mai voluto venderla, neanche in momenti di difficoltà economica, e che la basilica di San Zeno è per lui così cara da essere il luogo più desiderabile per consegnarla alle generazioni future.
La catechesi si è svolta proprio davanti al dipinto ed è stata a più voci, anche quelle dei partecipanti, nella convinzione che la lettura sinfonica di un’opera d’arte possa veramente arricchirci reciprocamente: a curare l’incontro sono stati il nostro Vescovo, mons. Domenico Pompili, e don Antonio Scattolini, delegato vescovile per la pastorale dell’arte in diocesi. Quando si entra nella sala Zanotto si attraversa uno spazio ricco di storia, in origine deputato a libreria della comunità di benedettini che, fin dal IX secolo, si raccolse attorno alla tomba del vescovo di Verona.
Questo ambiente si presenta, ora, nella forma che gli diede l’architetto Libero Cecchini nel contesto di felici interventi di restauro che interessarono il complesso sanzenate negli anni Ottanta del secolo scorso. Sulle sue pareti si trovano alcuni affreschi staccati di epoca medievale, qui radunati per motivi di più adatta conservazione: è tra essi che spicca, per grandezza, per soggetto, per stile, il quadro di Ghioni. Mostra una visione, più che una narrazione, potente per via di decisi contrasti che alternano luci e ombre. Il fondo, buio quanto faceva Caravaggio, è illuminato da un tramonto o un’alba, e da una folgore che colpisce la croce.
La figura del Crocifisso risulta ripresa da una prospettiva inusuale: rivolta al cielo in modo da nasconderne parte del volto, ribalta quella di Salvador Dalì, maestro surrealista “per eccellenza” del Novecento. Chiodi e monete costellano la tela e spuntano dal supporto a rilievo, evocando il tradimento e la violenza. Nel mezzo di quella che sembra un’esplosione sconvolgente e di tono apocalittico, la raffigurazione fa percepire un senso di caduta, ma al tempo stesso di innalzamento, attrazione e abbraccio, nel segno di una ferita/feritoia che diviene speranza. Il dramma dipinto avvicina al Mistero, invitando a cercare il volto del Crocifisso nei volti dei crocifissi di carne che incontri e a spingersi oltre l’eclissi che, ricordiamolo, per sua natura è sempre temporanea. E, così, la luce pasquale ritorna.
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