Community o comunità?
di DON FRANCESCO MARINI, Direttore del Centro diocesano cinematografico
Lontani, ma vicini. Uniti dal digitale: opportunità e rischi di questo nuovo modo di essere comunità cristiane
di DON FRANCESCO MARINI, Direttore del Centro diocesano cinematografico
Nel parlare comune, oggi quasi nessuno dice “prova a cercare con internet”, ma la maggior parte delle persone dice “prova a cercare in internet”. Cosa si nasconde dietro quella che può sembrare una semplice questione grammaticale? Non si tratta di preposizioni diverse, ma di una concezione diversa di internet stesso e, potremmo dirlo per estensione, di tutti i media digitali.
Gli studi recenti, infatti, parlano sempre meno di strumenti mediali e sempre più di ambienti mediali. Cosa si intende? Stando all’esempio di partenza, il web viene considerato come un luogo, non solamente come un mezzo. Viene assimilato al mare, visto che gergalmente si utilizza il verbo navigare in internet. Si potrebbe addirittura dire che la rete diventa l’estensione digitale dell’ambiente in cui viviamo. Se c’è bisogno di raggiungere un indirizzo ben preciso si utilizzano le applicazioni di navigazione, se si vuole vedere la valutazione di un ristorante ecco che altri programmi vengono in aiuto... così per tanti aspetti quotidiani di vita, si può trovare un supporto digitale a sostegno.
Questa interazione tra persone, applicazioni e ambiente, ha dato il via anche ad un fenomeno in qualche modo nuovo: quello della nascita delle “community”. La parola inglese significherebbe comunità, però viene importata uguale nel vocabolario italiano, proprio per distinguerla da quello che comunemente si intende per comunità.
Tra le tante caratteristiche, forse due sono quelle più interessanti a riguardo.
Il punto di partenza è quasi sempre un interesse condiviso. Un po’ come, per esempio, i fan club: si condivide la passione per una squadra o un beniamino del mondo dello spettacolo e attorno a tutto ciò si costruisce un sentire comune, la condivisione di pensieri e di contenuti (fotografie, aneddoti, ecc.). Così nel mondo digitale ci sono community ad argomento cucina, tecnologia, spettacolo, turismo... praticamente per qualsiasi cosa.
Questo, però, è solo un lato della medaglia. L’altro è che le community, vedendo la luce a partire da un elemento comune, sono aggregati di elezione. Ovvero ogni partecipante sceglie di farne parte. Se questo dato può tornare utile perché in qualche modo rende forte l’identità di un gruppo, nasconde però un rischio molto grande. Condividendo i medesimi pareri e le stesse opinioni, diventa alto il pericolo che le community sacrifichino una dimensione di confronto dialettico capace di far maturare nel pensiero critico e risultino solo un luogo dove ricevere la conferma delle proprie idee. Nel 2019, papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali scriveva: “Nei casi migliori le community riescono a dare prova di coesione e solidarietà, ma spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli. [...] Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio. Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo”.
La seconda caratteristica degna di nota, invece, è che la “digitalizzazione” di una comunità permette di superare i limiti dello spazio e del tempo, realizzando un’unità finora impensabile.Come scriveva a riguardo papa Francesco nel già citato messaggio: “Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce sé stessa e rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Se la rete è occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza fisicamente lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta di ciò che ci unisce, allora è una risorsa”.
La community permette di ridurre le distanze: quante persone durante questo tempo di pandemia, hanno potuto partecipare alla vita delle loro comunità parrocchiali (Messe, catechesi, ecc.) attraverso gli strumenti digitali?
I media, ancora una volta, si sono mostrati strumenti capaci di prolungare ed estendere le relazioni già esistenti: di fronte al limite dell’isolamento, sono stati segno capace di mantenere viva la speranza, di alimentare il desiderio di tornare quanto prima ad abbracciare le persone con cui condividiamo i nostri cammini di vita umana e cristiana.
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