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«Verona è una città sicura ma il suo benessere è “attraente”»

di GIULIO PIGNATTI
Parla l’assessora Stefania Zivelonghi: preoccupa la criminalità “di strada” 

«Verona è una città sicura ma il suo benessere è “attraente”»

di GIULIO PIGNATTI
I recenti episodi di reazione all’intervento delle forze dell’ordine, una stagione turistica che convoglia un grande afflusso a Verona, una città ricca attraente non solo per visitatori e imprenditori, la pressione dei flussi migratori. I temi della sicurezza sono tra i più discussi attualmente in città, non sempre con l’obiettività che argomenti così sensibili richiederebbero. È dalla percezione della sicurezza – prima ancora che dalla sicurezza effettiva – che passa una buona parte del consenso di un’Amministrazione comunale. Che infatti, in seguito a episodi che testimoniano un incremento dei reati di strada (quella che il questore Roberto Massucci ha chiamato “criminalità da passeggiata”, che riguarda al 90% cittadini stranieri), ha voluto dare segnali di fermezza.
Abbiamo intervistato Stefania Zivelonghi, assessora con le deleghe a Sicurezza, legalità e trasparenza, nel suo ufficio di Palazzo Barbieri, per tracciare un bilancio del primo anno dell’Amministrazione guidata da Damiano Tommasi su questi temi.
– In termini di sicurezza, che città ha trovato al suo insediamento? E adesso?
«Al mio insediamento ho trovato una città diversa da quella che è ora: in un anno si sono acuiti determinati fenomeni. La stazione di adesso non è quella di un anno fa, ad esempio. La grande maggioranza dei reati a Verona è commessa da stranieri: il tema dell’attraversamento dei nostri territori da parte dei flussi migratori è sempre più urgente e deve interessare tutti. Verona è una città sicura, che però sta avendo un’evoluzione con potenziali criticità. Reati come i furti in abitazione o gli omicidi hanno numeri in calo, ma c’è una crescita dei reati “di strada”, tendenza non così evidente un anno fa».
– Le opposizioni attaccano sostenendo che Verona è in stato di degrado e che l’Amministrazione non è abbastanza ferma nella reazione. Come risponde?
«Sono due questioni diverse: una situazione di degrado non implica sempre insicurezza. Se per degrado si intende un’inadeguata pulizia della città, ad esempio, è vero che si può migliorare: c’è una struttura di Amia che va trasformata ed efficientata. La nostra è una città popolosa, ricca e che accoglie flussi turistici imponenti (con un aumento del turismo da eventi). Tutto ciò attrae ad esempio gli “accattoni”, soggetti non identificabili come stranieri perché provenienti dall’Europa dell’Est, ma che arrivano spesso in gruppi organizzati».
– La sicurezza è un tema di destra?
«La sicurezza attiene al benessere dei cittadini, è sbagliato – anche se facile – farne un cavallo di battaglia politico. Il benessere passa anche dal sentirsi insicuri solo dove lo si è davvero, e viceversa. Penso quindi che non faccia bene continuare a parlare di emergenza sicurezza. Così, il cittadino soffre una potenziale aggressione in ogni momento, anche se magari non capita mai. La minoranza vorrebbe una militarizzazione della città, ma il questore è il primo a dire che questa non è la soluzione. Certo, però, le istituzioni devono saper intervenire anche in maniera rigorosa».
– Dati e Questura testimoniano che i crimini “tradizionali” sono in diminuzione. Perché allora a Verona è così forte la distanza tra la sicurezza reale e quella percepita?
«Quante volte si cita la parola “benessere”? Eppure la nostra è una città dove si vive bene, che attrae moltissime persone. Invece si parla sempre di “sicurezza”, e in modo improprio, distruttivo. Mi hanno dato della “buonista”, ma io non lo sono assolutamente. La questione è pragmatica: se si pensa di fare sicurezza sbattendo le persone in carcere non si è capito nulla. Le persone prima o poi escono dal carcere: dovremmo piuttosto fare in modo che ne escano migliori».
– Recentemente si è verificata una serie di episodi di tensione con le forze dell’ordine nei pressi della stazione di Porta Nuova. Qual è la situazione?
«Quello della stazione è un tema da questore, con cui chiaramente dialoghiamo quasi ogni giorno. Verona sta assumendo le caratteristiche di una grande città, con tutte le problematiche del caso, anche in termini di attrattività verso determinati soggetti. Uno dei temi che lamentano le forze dell’ordine è che le normative vigenti non consentono ampi spazi di manovra. Le persone fermate e identificate raramente vengono tolte dalla strada attraverso detenzione o respingimenti. Quindi capita di trovare i soliti noti, a cui si affiancano nuovi arrivi continui».
– In una dichiarazione lei ha fatto un riferimento, significativo, alle recenti proteste nelle periferie francesi. C’è anche qui il rischio che da episodi sporadici si passi ad azioni organizzate?
«Assistiamo a reazioni agli interventi delle forze dell’ordine, che hanno un significato anche perché si stanno verificando in tempi ravvicinati. Ci si sente di poter agire contrastando le azioni della polizia, quindi la situazione è in peggioramento e va fortemente attenzionata da chi di dovere. L’Amministrazione si deve far carico di ciò che ruota intorno, occupandosi delle attività di prevenzione, degli interventi sociali o di supporto alla polizia locale. Ho fatto riferimento ai fatti francesi non perché siamo vicini a quella situazione, ma perché dovremmo guardare a chi ha già vissuto determinati fenomeni migratori e pensare delle politiche abitative e sociali adeguate a rendere la vita di tutte le persone dignitosa e integrata».
– Per quanto riguarda i reati di strada, in aumento, un tema caldo è quello del disagio giovanile e delle cosiddette “baby gang”. La questione è più sociale o di sicurezza?
«Bisogna definire meglio il termine “baby gang”, attribuibile, nel contesto veronese, solo a un paio di casi, su cui tra l’altro si è intervenuti fermamente. Continuando a parlarne, poi si vedono baby gang ovunque, anche in casi di “semplice” bullismo. Diverso è dire che ci sono ragazzi in situazioni di disagio, che cercano un’identità. Un parroco di Borgo Roma mi ha raccontato di aver chiesto ai ragazzi del muretto cosa si aspettassero dai parrocchiani che entrano in chiesa. Loro gli hanno risposto: “Che ci salutino”. Il problema è innanzitutto sociale e poi anche, potenzialmente, di sicurezza».
– In generale, quali sono le zone della città attualmente più attenzionate?
«In questo momento la zona più critica, da quanto emerge dai dati, è appunto la stazione di Porta Nuova. Le azioni di polizia tendono poi a spostare le persone dalla stazione alle zone più vicine, come Pradaval. Se parliamo di degrado sulle strade, c’è la zona di via dei Mutilati. Ma quella è una situazione che sussiste da anni. A dormire per strada sono soggetti diversi: un conto è avvicinare chi dorme lì per disagio economico o per scelta – e in questo caso i servizi sociali sono molto efficienti –, un altro è chi viene nei nostri territori apposta per delinquere, magari portato da qualcuno e organizzato in un racket».
– Allargando lo sguardo, quali possono essere degli approcci alternativi alla sicurezza che caratterizzino questa Amministrazione?
«Stiamo incentivando la partecipazione dei cittadini attraverso la promozione del controllo di vicinato. Un’altra iniziativa riguarda la giustizia riparativa; mettiamo in relazione soggetti che se ne occupano: legali, servizi sociali, realtà economiche che potrebbero accogliere chi commuta la pena. C’è poi l’attenzione alle vittime attraverso le attività di Rete Dafne e agli anziani con incontri di sensibilizzazione sulle truffe».
– In conclusione, quali obiettivi si prefigge per il suo mandato?
«È necessario un lavoro di messa in connessione delle realtà cittadine, perché Verona è caratterizzata da molto volontariato e grande generosità, ma spesso le opportunità non entrano in rete. Poi vorrei fare in modo che la diversità sia considerata una ricchezza, non un pericolo. Però bisogna fornire le opportunità adeguate».

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