Transizione ecologica: rivoluzione dolce, ma ormai inevitabile
di ALBERTO MARGONI
L’economista gesuita Giraud, a Verona il 12 ottobre: «Iniziamo seriamente o poi sarà troppo tardi»
di ALBERTO MARGONI
Una visione nuova dell’ambiente e della terra. L’ha richiamata papa Francesco intervenendo ad Assisi all’evento “Economy of Francesco”. «Sono tante le persone, le imprese e le istituzioni che stanno operando una conversione ecologica. Bisogna andare avanti su questa strada, e fare di più» ha auspicato il Santo Padre. «Non basta fare il maquillage, bisogna mettere in discussione il modello di sviluppo. […] La terra brucia oggi, ed è oggi che dobbiamo cambiare, a tutti i livelli».
In questa linea si inserisce il volume La rivoluzione dolce della transizione ecologica. Come costruire un futuro possibile, uscito per la festa di san Francesco d’Assisi, per i tipi della Libreria Editrice Vaticana. L’autore è Gaël Giraud (nella foto di Alain Goulard), 52enne economista, matematico e teologo parigino, sacerdote gesuita, docente di economia politica nonché direttore dell’Environmental Justice Program della Georgetown University di Washington, l’ateneo dei gesuiti che forma buona parte della classe dirigente americana. Intervenuto anch’egli ad “Economy of Francesco” ad Assisi, sarà a Verona mercoledì 12 ottobre. Presso l’aula magna San Giovanni Paolo II del Seminario maggiore (ingresso pedonale da via Seminario 8; parcheggio entrando da via Bogon 2) alle 20.45 tratterà del tema “Transizione ecologica, utopia o progetto?” in un incontro organizzato dall’Istituto superiore di Scienze Religiose “San Pietro martire” e moderato dal giornalista Paolo Rodari, vicedirettore del Gruppo Athesis. In vista della sua venuta in riva all’Adige, ci ha concesso questa intervista.
– Prof. Giraud, gli obiettivi fissati dall’agenda 2030 sono realizzabili o siamo già in ritardo?
«Siamo in ritardo ma non è impossibile. Ovvero, non è troppo tardi per raggiungere gli Obiettivi Onu del 2030; se non riusciamo per quell’anno, può avvenire anche nel 2032-2033, l’importante è raggiungerli. Quella data non è una deadline assoluta, purché gli obiettivi si raggiungano in quel periodo. Quello che è veramente importante, anzi necessario, è raggiungere quegli obiettivi, anzi mettersi in cammino per farlo, sennò sarà troppo tardi».
– La transizione ecologica passa attraverso la transizione energetica. È realizzabile su scala mondiale?
«Sì, è una cosa assolutamente possibile. Non c’è alternativa a questo. Io ho redatto un piano per la transizione energetica per la Francia da attuarsi entro il 2050. Uno simile può essere approntato per Germania e Italia. E anche quei Paesi oggi più dipendenti dal carbone, come la Polonia, possono incamminarsi sulla transizione energetica. Lo stesso Sudafrica, un Paese dove le energie fossili sono state per tanti anni la principale fonte di energia, ha scelto la transizione energetica: questa è la dimostrazione che si può fare, sempre che esista la volontà politica di farlo».
– Nella transizione ecologica rientra l’energia nucleare o no?
«Questa è una domanda che pone risposte controverse e diversificate da Paese a Paese, a seconda della situazione. Per esempio: in Francia, dove il nucleare è attivo da anni, è troppo tardi per abbandonarlo. Dieci anni fa si poteva farlo, oggi non più. Quello che si può fare in Francia è costruire piccoli reattori invece di grandi centrali e far sì che vengano alimentate con il thorium, un materiale radioattivo molto migliore dell’uranio. Teniamo presente che il thorium ha alcune caratteristiche migliorative dell’uranio: non può essere trasferito a uso militare e fa molte meno scorie radioattive rispetto all’uranio. Inoltre, la geopolitica legata al thorium è molto più “pacifica” di quella dell’uranio: le miniere di quest’ultimo sono solo in pochi Paesi, mentre il thorium è più diffuso e questo mette meno a rischio il suo approvvigionamento. Questo discorso, comunque, tengo a precisarlo, vale solo per quei Paesi che hanno il nucleare sviluppato da anni. Per chi non ha energia nucleare in atto, oggi è troppo tardi intraprendere questa tecnologia: per l’Italia, per esempio, molto meglio approvvigionarsi con il gas naturale dell’Algeria oppure puntare decisamente sulle energie rinnovabili».
– Lei considera quella italiana la grande economia malata d’Europa. Cosa suggerisce al prossimo governo sia nella gestione ordinaria che nell’utilizzo dei fondi del Pnrr?
«Di investire decisamente sulle energie rinnovabili. Dobbiamo tener presente che l’inflazione sulle materie prime non sarà momentanea: Putin sarà il padrone del gioco per molto tempo e quindi è necessario pensare a diversificare le fonti di approvvigionamento, puntando decisamente su quelle ecologiche. Le comunità energetiche, che iniziano a diffondersi in giro per l’Italia, sono la risposta migliore a questa situazione. Il governo futuro dovrà sostenere iniziative di questo genere».
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