Stalle vicine al collasso: latte sottopagato e costi alle stelle
di LIDIA MORELLATO
Un altro risvolto della guerra: i piccoli allevatori sono strozzati da mercato, multe e rincari
di LIDIA MORELLATO
Gli effetti della guerra sono devastanti e stanno sconvolgendo anche il mondo degli allevatori, in crisi profonda. Piccole e medie aziende zootecniche che allevano bovini da latte sono sull’orlo del collasso e chiedono aiuto. Così sabato scorso a Pampuro, nel comune di Sorgà, è salita la protesta di un gruppo di allevatori della Bassa che non riescono più a coprire i costi di produzione del latte. A pesare sui bilanci, già risicati, sono l’aumento dei costi energetici, del prezzo di gasolio e carburanti, ma anche dei foraggi e mangimi destinati all’alimentazione degli animali.
Il rischio concreto è di un tracollo totale, con la chiusura definitiva delle stalle. Così ci dicono. Franco De Guidi, ex allevatore di Santa Maria di Zevio, ha 75 anni ma sfodera lo spirito combattivo di un trentenne quando si ritorna sulla questione delle quote latte che gli è costata la chiusura dell’allevamento per l’accumulo – in due anni – di oltre centomila euro di multa per il latte “fuori quota”, più un milione e 884mila euro (da pagare in… cinque giorni) per il ruolo che allora rivestiva come presidente di una cooperativa di servizi. Solo al lontano pensiero del giorno in cui gli sequestrarono tutte le vacche, che conosceva una per una, non riesce a nascondere la commozione e gli occhi diventano lucidi.
Sulla crisi di oggi ha le idee chiare. «È una guerra da fame – dice –: con gli aumenti degli ultimi giorni, produrre un litro di latte ci costa 50 centesimi, ma ce lo pagano 41. Se andiamo avanti così, le aziende resistono altri due mesi e poi saranno costrette a chiudere i battenti». Gli allevatori che si sono ritrovati a Sorgà, in un clima di condivisione caratterizzato da quel calore tipico che solo la gente di campagna sa trasmettere, hanno riacceso i riflettori su una situazione drammatica che mette a rischio l’esistenza di tantissimi produttori di latte bovino. Ma nemmeno gli altri allevamenti sono esenti dalla questione, anzi! A Pampuro c’è Francesco Fissone che viene da Savigliano in provincia di Cuneo e afferma che «la guerra economica noi la stiamo già pagando da tempo»; Antonio Martini, di Parma, accenna alla «dissennata proposta del Ministero di abbattere le vacche per 3.800 euro a capo, perché non c’è mangime, che viene importato in grande quantità dalle zone coinvolte nella guerra».
E poi tanti altri allevatori di Verona, Modena, Vicenza, Rovigo. Sono tanti i temi messi sul tavolo, problemi nuovi e vecchi. Si tratta di piccole e medie aziende (100-150 capi) che stanno ancora facendo i conti con il passato delle “quote latte”, schiacciate dalle speculazioni e messe in ginocchio dagli ultimi rincari da record. Ascoltandoli, si capisce subito che l’allevatore è l’anello più debole della catena, stretto nella morsa di una filiera disorganizzata che negli anni ne ha viste di tutti i colori. Per loro le prospettive non sono rosee e, se non si prevederà in tempi rapidi qualche intervento di sostegno che garantisca un giusto compenso del latte che producono, le stalle saranno destinate alla chiusura definitiva mandando in fumo anni di duro lavoro e sacrifici. Il prezzo del latte era già crollato da tempo. Il cuore del problema sta tutto lì.
Già a fine febbraio il costo di produzione medio (46 cent/litro, dati Ismea) del latte per gli allevatori superava di gran lunga il prezzo di vendita a loro riconosciuto, che arrivava massimo a 38 centesimi al litro. Poi, si sa, sullo scaffale del supermercato il prezzo lievita. Ma quanto spende il consumatore per quella stessa quantità di latte fresco pagata al produttore ben sotto il costo di produzione? Si va da 1 euro e 20 centesimi per un litro di latte fresco, prezzo che nelle ultime settimane ha toccato anche 1 euro e 70 centesimi. Oltretutto siamo in presenza di una evidente anomalia del sistema, perché in queste condizioni il latte poi lo si va a prendere all’estero in Germania, Olanda e altri Paesi dell’Unione Europea, con il rischio di speculazioni. Si consideri che l’Italia garantisce una produzione annua di oltre 12 milioni di tonnellate di latte corrispondente a un valore economico di 16 miliardi di euro. Nel Veronese, secondo dati recenti forniti da Coldiretti, ci sono più di 700 stalle che producono circa 0,32 milioni di tonnellate di latte annui.
Certo, a dare la mazzata finale ci ha pensato l’impennata dei costi dei mangimi alimentata dalla guerra, con l’Ucraina che garantiva il 20 per cento delle importazioni italiane di mais per gli allevamenti. I contraccolpi subiti sono durissimi. Poi è arrivata la deflagrazione dei costi energetici che sta mettendo in ginocchio anche tantissime altre aziende. Ma c’è dell’altro. Il problema è che i costi fissi erano aumentati già da tempo e l’allevatore non riusciva ad avere ricavi con una inarrestabile e impietosa erosione della reddittività. E quando ci si rimette, significa che il lavoro non è più sostenibile. A tutto ciò si aggiunge il fantasma delle famigerate “quote latte” che è ancora vivo.
Tutti gli allevatori di Pampuro hanno alle spalle stratosferiche cartelle esattoriali pendenti e tutti dicono di trovarsi «invischiati in una palude di multe ingiustificate, citazioni giudiziarie e pignoramenti massacranti con i conti bancari ancora bloccati». Ricordiamo che il sistema delle quote latte, in vigore dagli anni Ottanta, assegnava ad ogni Paese europeo una quota massima di produzione di latte oltre la quale non si poteva produrre, pena l’applicazione di una sanzione. Ma lì si è innescato un ingranaggio perverso che oggi gli allevatori denunciano, fatto di frodi, di sforamenti mirati, di latte prodotto sulla carta, di compravendita di quote: «C’era chi affittava le quote di carta, che rendevano più delle mucche da mungere, restandosene comodamente sul divano».
La situazione è poi degenerata con l’arrivo delle multe che hanno condotto molti allevatori al fallimento, o peggio. Ora occorre quindi agire in fretta per evitare l’irreversibile chiusura ed estinzione di queste imprese che soffrono oramai da troppo tempo e da sole non riescono più a risollevarsi. Sono un patrimonio, stiamo vedendo proprio in queste ore cosa abbia voluto dire l’abbandono di colture e di sostegni all’agricoltura, appoggiandoci solo all’estero e alle importazioni.
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