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Qui i ragazzi più fragili riacquistano l'autonomia

Il progetto del Samaritano (Caritas) a Corte Melegano, inserito nel progetto "Fidati: neo-maggiorenni verso l'autonomia"

Parole chiave: Samaritano (2), Disagio sociale (1), Caritas diocesana (6), Giovani (99), Progetti (10)
Corte Melegano,

“Tra il dire e il fare c’è di mezzo lo stare”. È questo il motto che gira come un ritornello da un operatore all’altro del Samaritano , la cooperativa sociale della Caritas diocesana che si occupa degli ultimi: poveri, senza tetto, migranti, giovani in difficoltà. «La strada la fai tu, io ti sono vicino e ti accompagno, ma sei tu che decidi cosa fare della tua vita e quando sei pronto a spiccare il volo». È questo lo spirito di servizio che contraddistingue anche l’attività di “Casa solidale giovani”, inserita nel progetto “Fidati: neo-maggiorenni verso l’autonomia”.
A Corte Melegano, un’oasi verde lungo la statale 12, tra Cadidavid e Buttapietra, il Samaritano gestisce da un paio d’anni uno stabile di proprietà della Diocesi, in collaborazione con la Comunità Il roveto ardente. Qui è in atto una sperimentazione di residenza per giovani adulti senzatetto, soprattutto di quelli nella fascia d’età fra i 18 e i 25 anni. «Sono tre le provenienze principali: arrivano da famiglie affidatarie o da istituti, da cui escono dopo aver compiuto 18 anni, oppure da nuclei familiari con problemi enormi, come gravi storie di violenza», illustra Damiano Conati, referente del progetto e uno dei quattro operatori di Caritas attivi al Melegano.
L’alternativa? La strada, nella maggior parte dei casi. «Anche se è poco noto ai più, il numero di giovani senzatetto è in crescita: perciò, a fronte di un bisogno in espansione, abbiamo avviato questa sperimentazione – spiega –.  L’idea è di offrire degli spazi diversi dai dormitori per gli adulti, per mantenere sogni, desideri e ambizioni di questi giovani e traghettarli verso una normalità di vita, adatta alla loro età». Il Samaritano opera a stretto contatto col Comune di Verona e con i suoi servizi sociali; si avvale inoltre di uno psicologo e di diversi esperti, che tengono dei laboratori specifici.
«Al momento sono otto i giovani accolti: cinque al Melegano, uno nella parrocchia di Beccacivetta (a Castel d’Azzano), dove la comunità si è mobilitata con una rete di volontari per prendersene cura, e due nell’appartamento “di sgancio” in Borgo Roma, ultimo gradino prima dell’autonomia definitiva», continua Conati. L’obiettivo è sviluppare l’autonomia della persona (partendo dalla cura di sé, dell’ambiente in cui vive, del rispetto per gli altri), introducendo gradualmente il tema del lavoro e poi della casa; se non è possibile l’autonomia, si studiano soluzioni di vita abitativa e di affetti, collaborando con altre realtà. La durata del progetto si concorda con i giovani ospiti, lavorando su un piano personalizzato condiviso con l’assistente sociale.
Il Melegano funziona come una casa: c’è un programma settimanale di azioni da svolgere, dalle pulizie alla cucina, dal taglio dell’erba in giardino alla cura delle galline. Ogni giorno ci sono dei laboratori di pensiero e di formazione – uno, recente, con le Lego – e lavori per sviluppare la manualità. Ma c’è spazio pure per fare squadra, grazie alle partite di calcio e a qualche gita. Inoltre, ogni giovedì c’è il cineforum, uno spunto per trattare temi caldi come il bullismo e il razzismo. «Alcuni ragazzi vanno in servizio al Samaritano e in questo periodo tre sono impegnati in tirocini – informa l’operatore –. Cerchiamo di renderli indipendenti lavorando sul fronte della formazione e facendo acquisire loro dei titoli utili all’inserimento occupazionale, come il patentino per il muletto». Con la bicicletta o l’autobus, i giovani ospiti si spostano in autonomia.
Ognuno ha trovato pure degli speciali angeli custodi: alcune coppie della parrocchia di Castel d’Azzano hanno deciso di diventare “tutor” di questi giovani, trascorrendo del tempo con loro e condividendone i progressi. «Non vogliamo che questo sia un ghetto: il nostro sforzo è di aprire la corte all’esterno, per questo andiamo a parlare nelle scuole e nelle parrocchie – conclude Conati –. L’invito è aperto a tutti: venite a conoscere questa realtà».
Ogni anno nel solo Comune di Verona sono circa una trentina i ragazzi che escono dalle comunità, dopo essere diventati maggiorenni. Attualmente sono una trentina i giovani nella fascia 18-25 anni accolti in appartamenti gestiti dal terzo settore; di questi, 22 provengono da strutture per minori. Nell’ambito del progetto “Fidati” il Comune di Verona si è fatto carico delle spese abitative per altri sei ragazzi e per sette progetti di accompagnamento; ha fornito poi aiuto a tre famiglie affidatarie che hanno continuato a tenere con sé i ragazzi anche dopo il raggiungimento della maggiore età.

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