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Questa seconda flat tax sarebbe ok: stimola la produttività e le dichiarazioni fiscali veritiere

Beh, se lo dici in inglese acquista tutto un altro sapore. Dal Jobs Act in poi, basta appiccicare un’etichetta anglosassone per etichettare un’idea come una riforma di qualità superiore, “internazionale”. Così è pure per la flat tax, e concordiamo sul fatto che “tassa piatta” o aliquota unica non abbiano lo stesso fascino.

Parole chiave: Flax Tax (1), Jobs Act (1), Nicola Salvagnin (4)
Questa seconda flat tax sarebbe ok: stimola la produttività  e le dichiarazioni fiscali veritiere

Beh, se lo dici in inglese acquista tutto un altro sapore. Dal Jobs Act in poi, basta appiccicare un’etichetta anglosassone per etichettare un’idea come una riforma di qualità superiore, “internazionale”. Così è pure per la flat tax, e concordiamo sul fatto che “tassa piatta” o aliquota unica non abbiano lo stesso fascino.
Ma al di là dei nomi, rimane la sostanza delle cose. La Costituzione ci chiede un sistema fiscale in cui chi guadagna di più, paga più tasse. Ma questa è la Costituzione formale. Quella sostanziale, in vigore da sempre in Italia, racconta che chi guadagna di più ha tutti gli strumenti (e quasi sempre li utilizza) per pagare poco o niente. Basta un ottimo commercialista e un capitano d’impresa appare, per il Fisco, un caporale di fabbrica.
Quindi lasciamo stare per un momento il dettato costituzionale, che è teoricamente giusto ma sostanzialmente inapplicato. La flat tax è una proposta fiscale della Lega e comunque del centrodestra. In una prima formulazione appariva vaga e suggestiva, quanto improponibile e sbagliata. I motivi sono vari; si consideri solo il fatto che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria (che è uno dei migliori economisti italiani, per inciso) l’ha sempre rigettata.
Ma le cose starebbero cambiando e l’idea si sta facendo più intrigante. In Parlamento sta maturando tra le file governative un progetto di flat tax – quindi di aliquota unica e ridotta al 15%, per dire – che si applicherebbe su tutti i redditi che superano quelli dichiarati l’anno precedente. Attualmente se un lavoratore guadagna 35mila euro, e l’anno successivo 45mila, i 10mila euro in più sarebbero massacrati da Irpef varie: un 40% se ne andrebbe solo in tasse. Non è molto giusto e sicuramente disincentiva a guadagnare di più o, peggio, a dichiarare il vero al Fisco.
Se invece prendesse corpo una flat tax così evoluta, si avrebbero due effetti positivi: un incentivo per i lavoratori a darsi da fare, che tanto il Fisco non li punirà; un ulteriore incentivo (per gli autonomi) a dichiarare i guadagni e a non nasconderli: si schivano controlli e sanzioni senza essere massacrati dalle tasse. In teoria lo Stato ci perderebbe, rispetto alla situazione attuale. In pratica, quasi sicuramente ci guadagnerebbe perché questa flat tax stingerebbe il “nero”. E farebbe emergere parte di quella fiumana di miliardi di euro che ogni anno si inabissano in sede di dichiarazione dei redditi.
Attenzione: non premia o punisce considerando certe soglie (e qui starebbe la fonte dell’ingiustizia e dell’inefficacia) ma si applicherebbe solo ai maggiori guadagni rispetto all’anno precedente.
Fatta così, sarebbe estremamente interessante e facile da sperimentare; non scardinerebbe i conti pubblici; non obbligherebbe a massacrare la spesa sociale per mancanza improvvisa di risorse. La prima versione la respingiamo in blocco: sarebbe inutile oltreché dannosa. Chiediamoci perché nessun Paese occidentale la applica: saranno mica tutti stupidi?

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