Un nuovo autunno caldo
di NICOLA SALVAGNIN
Le stime di un anno fa vanno riviste, bisogna far fronte ad una situazione che non è italiana, e questa è la notizia peggiore
di NICOLA SALVAGNIN
Da una parte c’è un’economia che tutto sommato tiene, regolarizza i precari e assume nuovi dipendenti (i dati Istat parlano non solo di una disoccupazione in discesa, ma soprattutto di un’occupazione più stabile, più qualitativa), soffre meno l’inflazione perché sta calando e calerebbe molto di più se non fossero nel frattempo esplosi i prezzi dei carburanti.
Ma la medaglia ha un altro lato: il Pil è positivo ma in costante calo; la domanda di beni non è particolarmente calda e la decisione della Bce di alzare ancora il costo del denaro (siamo al 4,5%, ci saremo a lungo) non aiuta a rafforzare i consumi; il rincaro dei finanziamenti non giova certo agli investimenti e quindi a far crescere la ricchezza complessiva.
Questo è il ritratto di un’Italia che sta entrando nell’autunno che è, per definizione, “caldo”. Sarebbe meglio definirlo tiepido: abbiamo vissuto stagioni ben peggiori. Ma è fuor di dubbio che il quadro complessivo si sta offuscando e i nostri governanti dovranno tenerne conto. Le stime di un anno fa vanno riviste, bisogna far fronte ad una situazione che non è italiana, e questa è la notizia peggiore.
L’economia mondiale sta vistosamente rallentando. La crescita globale del Pil sta scendendo verso quella soglia oltre la quale si entra in zona recessione per l’intero pianeta. La “colpevole” maggiore è la Cina, le cui discutibili politiche economiche degli ultimissimi anni – associate ad un disastroso approccio al Covid – hanno fermato una macchina che correva da un ventennio a forte velocità. Meno libertà economica associata al crescente problema demografico (anche lì!) stanno facendo rallentare vistosamente una delle locomotive del mondo.
Gli Usa, con l’Inflaction reduction act di Joe Biden, stanno cercando di riportare fabbriche e lavoro in terra americana a suon di colossali incentivi pubblici, così come la Cina sostiene con denaro pubblico molti suoi prodotti: quel che ha pubblicamente denunciato per voce di Ursula von der Leyen quell’Unione Europea che non ammette distorsioni alla concorrenza e che sta subendo queste politiche nazionaliste.
Le sta subendo soprattutto la Germania, la nostra locomotiva: Pil fermo, export in difficoltà, fiducia in calo, qualche idea confusa. E a pagare il conto siamo noi italiani, che abbiamo oltralpe il nostro principale mercato per le esportazioni.
Per distribuire ricchezza bisogna produrla. E qui sta il problema numero uno per il governo e l’imprenditoria. La fortuna di questi nostri ultimi anni sono state le esportazioni e le entrate del turismo: soprattutto le prime. E se il turismo tiene (ma quest’anno non è cresciuto), l’export piange. Con esso, la meccanica sopra tutto, ma anche la moda, l’agroalimentare, l’arredo, l’edilizia… Serve soprattutto che l’Europa reagisca: non è un caso che abbia affidato a Mario Draghi di stilare un report su come si possa rafforzare la competitività europea
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