Oltre i buoni propositi
I Paesi nordici stanno mettendo ingenti risorse sulle grandi aziende e gli asset strategici: automobili, carburanti, finanza, trasporti. L'Italia ha scelto di non scegliere
I soldi li stanno raccogliendo, non sarà facile farlo, ma pare che la volontà ci sia di sostenere l’Europa nella difficile operazione di rilancio economico. Quel che manca sembrano i progetti chiari, concreti, immediatamente attuabili. Una cosa è certa: i miliardi di euro copriranno la falla provocata dal lockdown nei mesi di marzo, aprile e maggio. Ma poi?
È tutto un fiorire – da settimane – di “cambio di paradigma”, di “rinnovamento economico”, di “nuovi business” e di potenziamento della ricerca. I governi sono invitati a produrre una “robusta ripresa”, non si sa come e se una simile azione possa in qualche modo essere favorita dai governi stessi. Che in realtà sono sulla difensiva e stanno chiudendo le falle dell’esistente, tutelando il vecchio tessuto produttivo fino all’accanimento terapeutico (vedi Alitalia).
I Paesi nordici stanno mettendo ingenti risorse sulle grandi aziende e gli asset strategici: automobili, carburanti, finanza, trasporti. Noi abbiamo scelto di non scegliere: lo Stato si dice pronto a salvare tutto e tutti. Almeno fino a settembre, che poi non pare una strategia lungimirante. In generale, politici, confindustriali, economisti, commentatori vari hanno elaborato una torre di babele di parole che rischia di sfiorare il cielo. Ma in pratica, cosa cambierà?
Perché la realtà è un’altra. L’innovazione negli ultimi vent’anni è arrivata soprattutto da tre Paesi: Stati Uniti, Cina, Israele. L’Europa si è trasformata in una vecchia e stanca Disneyland votata alla finanza. L’Italia è incapace di completare da 21 anni una linea ferroviaria ad alta velocità dalle Alpi a Venezia, si fatica a immaginarla diversa da ora.
Il piano A europeo era e rimane quello della “grande trasformazione energetica”, che sostanzialmente rischia di nascere morto. Ha un senso per il pianeta se accompagnato da analoghe iniziative che riguardino i restanti nove decimi della popolazione mondiale. E ciò non risulta. Nel frattempo il prezzo dei combustibili fossili è crollato e ci sono riserve di petrolio e metano bastanti per secoli. L’uranio è tabù, ma solo qui da noi. E come produrremo in modo “pulito” l’enorme quantità di elettricità che servirà a far funzionare le centinaia di milioni di abitazioni e fabbriche, e i 270 milioni di veicoli circolanti nel nostro continente? Si noti che attualmente solo l’un per cento delle auto è a motorizzazione elettrica o ibrida, lo zero per cento di tir e bus.
Tanto per chiarire: le case automobilistiche stanno facendo marcia indietro precipitosa, non si sacrifica il restante 99 per cento nel nome di una fumosa utopia.
E allora grandi opere infrastrutturali? Una digitalizzazione robusta tramite fibra che vada dalla Lapponia a Ragusa? O addirittura un cambio di paradigma globale, come a volte invocato anche da noi cattolici, che però deve essere accettato da tutto il mondo se non vuole essere rapidamente accantonato dal resto del mondo?
O forse tutti questi buoni propositi sono solo il fumo che fuoriesce dalle macerie e l’unica soluzione è semplicemente ritirare su l’edificio tale e quale a prima? Con la netta sensazione di un’occasione sprecata?
E allora non sprechiamola: avanti con proposte, idee, progetti, soprattutto fatti. Che un edificio nuovo si tira su mattone dopo mattone, e non con i grandi e immaginifici schizzi su carta, da riporre poi in cassetti ben chiusi.
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