La riforma necessaria
di NICOLA SALVAGNIN
Un’evasione fiscale da un centinaio di miliardi di euro l’anno provano che l’urgenza di un cambiamento è ormai indifferibile: il sistema è comunque un colabrodo
di NICOLA SALVAGNIN
I nostri più cari auguri vanno a Mario Draghi e al suo governo, impegnati in un’altra delle riforme che la politica precedente si è ben guardata dal fare: la riforma fiscale. Un settore complicato, su cui saremo costretti a mettere le mani. Non una scelta politica infatti, ma un vero e proprio “obbligo da parte dell’Europa”: o facciamo i compiti a casa come si deve, oppure rischiamo di perdere i soldini del Recovery fund.
Va bene comunque visto che, in Italia, la situazione fiscale è sicuramente da rivedere. Per la fiscalità diretta, vale a dire quella fiscalità che colpisce direttamente il reddito o il patrimonio del soggetto (Irpef, Ires ad esempio) non è una novità affermare che assistiamo ad una situazione che puntualmente ricorda e conferma la presenza di ampie fette di popolazione che riesce a passare tra le strette maglie del fisco. Un’evasione fiscale da primato nel mondo occidentale cui corrisponde al contrario una fetta di lavoratori (in particolare i dipendenti) che pagano fino all’ultimo spicciolo come nemmeno in Svezia.
A queste ci sono da aggiungere le imposte pagate dalle attività produttive. La regina è l’Irap, tassa criticatissima perché si applica, oltre che sui redditi prodotti, anche su determinati costi del personale. Un’imposta che nel tempo ha subito tempo diversi cambiamenti, Draghi ne promette altri, non ultimo mandarla in pensione per introdurre al suo posto strumenti meglio congegnati.
Passando alle imposte indirette l’Iva resta la regina. L’imposta sul valore aggiunto è democraticissima (la paghiamo tutti acquistando beni e servizi), ma anch’essa presenta qualche lato oscuro. Anzitutto è facilmente “evadibile” sulle prestazioni d’opera ed esempio; le stesse aliquote, le più varie – si spazia dal 4 al 22 per cento -colpiscono i beni in maniera differenziata e spesso discutibile. Inoltre, se la ritocchi in alto, rischi di far automaticamente aumentare i prezzi dei beni e l’inflazione è già dietro l’angolo. Una ponderata revisione delle aliquote e dell’applicazione delle stesse – associata a un feroce controllo delle operazioni commerciali soprattutto nell’import-export – potrebbe contribuire a far crescere la nostra economia.
Ma non finisce qui. Il nostro sistema fiscale contempla un’infinità di altre tasse. Ne abbiamo per ogni situazione stagione. Dall’Imu, l’imposta municipale sul possesso dei beni immobiliari alle numerose e intramontabili accise sui carburanti. Dal “superbollo" automobilistico che, una volta introdotto, ha determinato un calo delle entrate a quelle regionali, provinciali e comunali che spesso si affiancano a quelli già stabilite dallo Stato. E poi bolli, imposte di registro, gabelle e gabelline. Su tutto questo è necessario mettere le mani, serve un definitivo riordino. Del resto, secondo gli ultimi dati, in Italia assistiamo ad un’evasione fiscale che sfiora i cento di miliardi di euro all’anno. Numeri che confermano la fragilità del nostro sistema fiscale e che l’urgenza di un cambiamento appare ormai indifferibile. Insomma, se in questi mesi, per forza o per diletto, saremo costretti a rimettere ordine alla soffitta-Italia, piena di cianfrusaglie un po’ dannose un po’ inutili, non c’è dubbio che l’angolo fiscale merita un’attenzione particolare ma anche dedizione e competenza.
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